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Ma gli androidi sognano pecore elettriche?
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Dick, Philip K.

Ma gli androidi sognano pecore elettriche?

Roma : Fanucci, 2000

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Maria Darida
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Per molti leggere di un universo in cui gli uomini convivono con gli androidi, in cui l’umanità ha colonie sparse per la galassia e l’essere robotico è la fonte di compagnia/servitù per eccellenza per il nostro genere di appartenenza è un qualcosa di inconcepibile, implausibile. Eppure sempre più la tecnologia si sta muovendo verso questi lidi, verso questi nuovi traguardi, tanto che le opere di autori maitre del settore quali Asimov e Dick, seppur appartenenti a due tipi di fantascienza distinti, non sono più così improbabili, inimmaginabili, anzi.. Come noto “ma gli androidi sognano pecore elettrice” è il romanzo da cui è stato tratto il celebre“Blade Runner” e se dunque siete amanti della tipologia è il testo adatto a voi.
Le vicende narrate si svolgono interamente nell’arco di una giornata estremamente lunga e faticosa per il protagonista, il cacciatore di taglie Rick Deckard; 8 nuovi androidi modello Nexus 6 illegalmente fuggiti da Marte hanno fatto ritorno sulla Terra e suo compito è quello di ritirarli (eliminarli) quanto prima. Il problema è che questi prototipi sono perfette riproduzioni degli organismi autentici, le differenze sono minime e dunque sempre più complesso è individuarli, non commettere l’errore di colpire un corpo notoriamente considerato vivente anziché un prodotto della scienza.
Non solo, la Terra è descritta come un luogo distrutto da una polvere che cade dal cielo come pioggia, questa ha primariamente colpito le cavallette, di poi gli uccelli ed infine tutti gli altri abitanti del pianeta, nessuno escluso, anche l’uomo infatti non è immune da suoi effetti tanto da, una volta esserne venuto in contatto, essere classificato quale “un cervello di gallina” o un “cervello di formica”, catalogazione a cui segue l’essere ridotto a lavori dove è richiesta la minima intelligenza e l’interdizione al migrare verso altri corpi celesti. La popolazione mondiale è perciò decimata, la maggior parte si è trasferita su Marte o altre colonie e i restanti vivono dediti al “mercerianesimo” una pseudo religione che fa leva sul legame empatico ed il cui messia altro non è che Mercer, da qui il nome della fede. Ma chi è questo Dio? Non è altro che un ubriacone, non è altro che mercificazione (Mercer non significa infatti Mercy bensì merchandise) e come fa l’organismo autentico a prendere consapevolezza di tale assunto? Grazie, ironia della sorte, all’androide che svela all’umanità che non esistono ideali assoluti a cui tendere, che ciò che è bene per uno non è necessariamente bene – ne tantomeno male – anche per l’altro, che in definitiva gli uomini non sono poi così veri perché credono ciecamente nella finzione, così, per partito preso senza interrogarsi sull’autenticità.
Un aspetto che viene particolarmente evidenziato nel testo è il legame con gli animali. Mentre nella nostra società il benessere è rappresentato dall’oggetto in sé per sé (dall’avere il telefono di ultima generazione al SUV superaccessoriato) nel mondo dispotico di Deckard questo è costituito dalla proprietà di un animale vero e non elettrico. Il “catalogo Sidney” offre la stima dei prezzi di ciascuno di questi, e il nostro protagonista non è immune dal desiderio di possederne uno vero tanto che decide di concludere il lavoro, nonostante tutti i dubbi morali che lo assalgono durante lo scorrere degli avvenimenti, soltanto per poter coronare tal desiderio.
Il romanzo è intriso di neologismi, numerose sono le questioni che vengono poste al lettore che pagina dopo pagina indirettamente arriva a chiedersi cos’è veramente l’umanità, cosa rende umani e cosa no, quanto inficiano la coscienza e la consapevolezza su tale requisito, quanto alla fin fine gli androidi siano semplici prodotti di laboratorio e non anche qualcosa di più. Considerazioni a cui va aggiunto il fatto che attualmente ciò che ci permette di porci sul “piedistallo” è appunto il possesso di qualità quali l’intelletto, la conoscenza, la coscienza rispetto agli animali, nostri attuali metri di paragone. Qui la domanda sorge spontanea. E se lo scenario mutasse e dunque la società non fosse composta soltanto dal binomio uomo-animale ma a questo si aggiungesse il fattore androide, prodotto di laboratorio capace di dimostrarsi più utile in determinati incarichi, più versatile nello svolgimento di molteplici funzioni, su quali elementi potremmo fondare la nostra pretesa di superiorità? Quali caratteri potremmo addurre al fine di evidenziare una loro appartenenza al solo genere macchina ed una nostra qualità preponderante sull’organismo cibernetico? Dick ci suggerisce una risposta e questa è l’empatia, la capacità di immedesimarsi negli altri, nei loro sentimenti, nelle loro emozioni, gioie e sofferenze, e lo fa a tratti con particolare rudezza (basti pensare alla mutilazione del ragno dinanzi a J.R. Isidore).
Eppure lo stesso autore sembra volerci suggerire, tra le righe ,che anche questa qualità è un qualcosa che non ci dà una sicurezza totale in quanto gli androidi, descritti quali soggetti con una propria individualità, intelligenza, capaci di fare del bene quanto di complottare per raggiungere scopi talvolta moralmente discutibili, non è detto che non acquisiranno mai tale caratteristica così come, il loro altro handicap identificato nella brevità della vita per ancora l’incapacità di riprodurre le cellule, non è un ostacolo invalicabile poiché il loro creatore uomo con le scoperte scientifiche riuscirà a correggere anche queste piccole imperfezioni. E quando anche questo traguardo sarà raggiunto, cosa ci differenzierà davvero da loro? Niente. L’umanità si sarà auto-annientata.
Il testo va assaporato, non è una di quelle opere che possono tranquillamente leggersi in un paio di giorni perché con significato relativo, è composto da capitoli brevi, scelta che permette alla mente del lettore di restare sempre vigile.

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