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Lungo cammino verso la libertà - Nelson Mandela
Di tanto in tanto mi piace cimentarmi con la lettura di un'autobiografia per scoprire storie di vita vissuta da personaggi che hanno fatto la differenza nel mondo. Devo ammettere che questa è stata una lettura molto lunga, ma ne è valsa la pena. Vi lascio un passo che mi è particolarmente rimasto impresso:
"Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione, o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare, e se possono imparare a odiare possono anche imparare ad amare, perché l'amore, per il cuore umano, è più naturale dell'odio."
Valentina Pifferati - 2 anni fa
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Macerie prime - Zerocalcare
Il continuo di macerie prime. Mi è piaciuto molto la risoluzione, come si intrecciano le vicende dei protagonisti in una realtà parallela e nelle relazioni di Zero. Il mondo interiore di zero calcare con tutti i riferimenti al mondo immaginario e reale di una generazione che ci è familiare. Alla fine le vicende si sbrogliano e si ricongiungono. Mitizzazione e smitizzazione si bilanciano e si rincorrono sullo sfondo dell’attualità e delle vicende personali del protagonista.
Antonio Rossi - 2 anni fa
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Works - Vitaliano Trevisan
Che cos’è esattamente Works di Vitaliano Trevisan? Un memoir, certo, ma anche un ritratto a tinte fosche del tanto celebrato nord-est del miracolo economico, un punto di vista critico su quel che resta della società industriale vista dal suo interno.
Mai come in questo caso è opportuno scomodare la celebre frase di Whitman: “Chi tocca questo libro tocca un uomo”. Ed è infatti l’uomo Vitaliano Trevisan che si mette a nudo in questo lavoro lungo seicentocinquanta pagine, scritto in cinque anni e infarcito di note che, di fatto, sono ulteriori estensioni del testo (cosa che fa venire in mente Infinite Jest di Foster Wallace, ma le similitudini tra i due romanzi si fermano qui). Il racconto inizia nel 1976 – quando l’autore aveva sedici anni – e termina nel 2002.
La motivazione che spinge Trevisan a compiere il percorso narrato - fatto di colloqui di lavoro, assunzioni, dimissioni, crisi aziendali, cassa integrazione e mobilità - sarà sempre la stessa: “non ci sono i soldi”. Solo col tempo l’autore comincia a selezionare, tra le opzioni lavorative che gli si presentano di volta in volta, quelle che gli consentono di mantenere la testa sgombra a sufficienza da permettergli di scrivere. Salvo poi scoprire, di fatto, che il mestiere dello scrittore mal si concilia sia con il contemporaneo svolgimento di attività manuali – che liberano la testa ma torturano il corpo – sia con le professioni dell’intelletto – che hanno l’effetto esattamente opposto.
Operaio in una fabbrica di gabbie per uccelli, magazziniere in una ditta trasporti, muratore, cameriere, geometra in vari studi professionali, venditore di arredi, impiegato in aziende che producono arredi per negozi o mobili per cucine, gelataio in Germania, lattoniere e altro ancora: ognuno di questi lavori è un’esperienza dolorosa, di cui l’autore nulla ci risparmia. Trevisan traccia ritratti impietosi degli imprenditori veneti, si sofferma a lungo sulle tristi meccaniche che determinano invidie, rivalità e ripicche tra colleghi d’ufficio e affronta senza pregiudizi ideologici le dinamiche del lavoro in produzione, premurandosi di descriverne anche gli aspetti più tecnici. Ogni nuovo mestiere è vissuto dallo scrittore come un passaggio necessario da compiere, non solo per garantirsi il pane, ma soprattutto per raggiungere il suo obiettivo ultimo: la scrittura.
Neppure i dettagli più oscuri del percorso dell’autore ci vengono taciuti: lo spaccio della droga per integrare paghe da fame, i tradimenti degli amici, i rapporti difficili con la madre e la sorella, i giudizi trancianti degli altri, il senso costante del fallimento, il matrimonio che va a rotoli. Non mancano brevi passaggi su certi temi caldi degli anni Settanta (terrorismo, rivoluzione mancata, riflusso), e sull’evoluzione delle politiche neo-liberiste italiane ed europee di fine anni Novanta, che aprirono la porta all’istituzionalizzazione del precariato. Trevisan si ostina a chiamare “padroni” gli imprenditori, ma litiga con Toni Servillo che – occupandosi della messa in scena di un suo testo – vorrebbe che gli operai indossassero la tuta blu “alla Cipputi per così dire (…) dimostrando di avere la classica immagine dell’operaio che sembra essersi fossilizzata in tutte le teste borghesi e piccolo-borghesi”.
Un libro da leggere dunque, nonostante la stanchezza che alla fine prende il lettore, alle prese con un’opera lunghissima e stilisticamente imperniata su una prosa che ingloba il dialogo nel flusso della scrittura. La difficoltà di provare empatia per quest’uomo emotivamente denudato, quest’uomo portato per carattere a essere contro - contro i padroni, contro i colleghi, contro i familiari, contro la burocrazia, contro i partiti e, spesso, contro se stesso e le proprie scelte - penalizza il romanzo. Conquistano invece la grande capacità tecnica di Trevisan - che scrive davvero bene ed è capace di assicurare alla narrazione un ritmo costante, certo con pochi sussulti ma scorrevole - e la profondità dell’analisi che, per ampiezza e dettaglio, ha pochi paragoni in Italia, almeno nel campo letteratura industriale.
Queste le parole con cui lo scrittore conclude il romanzo: “Tutto ciò che potrebbe incriminarmi è frutto d’invenzione”.
Marco Ciampolini - 2 anni fa
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La valle oscura - Anna Wiener
“La valle oscura” di Anna Wiener è – come il sottotitolo lascia intendere – un memoir: un romanzo autobiografico che racconta circa cinque anni di vita della scrittrice, ripercorrendo le scelte professionali e umane che ne hanno determinato il trasferimento da New York a San Francisco, e il passaggio dal mondo dell’editoria più tradizionale a quello high-tech delle startup e dei venture capitalist ( e della crescita apparentemente inarrestabile del profitto, dei principi della massima produttività e della dilatazione infinita dell’orario di lavoro, del nomadismo tecnologico pre-pandemia e delle insulse chat aziendali). Una riflessione, insomma, sul capitalismo tecnologico post-industriale, che non a caso si apre con la quotazione in Borsa del “social che tutti dicevano di odiare ma a cui nessuno riusciva a smettere di loggarsi” (Facebook) avvenuta nel 2012, e termina poco dopo le elezioni presidenziali vinte da Trump nel 2016; due momenti fondamentali della storia economica recente degli USA. Dall’apoteosi dell’era di Internet, e soprattutto dei social, alla temuta – dalle startup - rivincita del capitalismo tradizionale che, a conti fatti, non c’è stata.
La protagonista ama il settore dell’editoria, è disposta ad accettare gavetta e stage non pagati pur di farne parte, sia pure in ruoli non di primo piano come correttrice di bozze o lettrice di manoscritti. Tuttavia, deve arrendersi all’evidenza: “le difficoltà di conciliare uno stipendio netto da millesettecento dollari al mese con lo stile di vita mondano, festaiolo, agiato a cui l’industria editoriale spingeva” non sono più sostenibili per lei. Era certamente “bello ricevere gratis le ultime uscite”, ma sarebbe stato “più bello permettersi di comprarle”. Così, spinta dal desiderio di essere indipendente, di guadagnare, di trovare il suo posto nel mondo, si avvicina all’universo delle startup. Il suo primo contatto (fallimentare), con questa realtà, avviene a New York con una azienda del settore dell’editoria digitale. Seguirà il trasferimento a San Francisco, città in cui lavorerà prima in una startup di analisi dati (e qui il testo contiene preziose riflessioni sui big data e sul loro uso/abuso) e successivamente in un’altra startup che fornisce un cloud per l’archiviazione di dati (azienda identificabile nella GitHub, quella del gattopolpo). Il romanzo diventa a questo punto una vera miniera di informazioni sull’organizzazione del lavoro in queste società e sulla falsità del mito che le vuole veri e propri eden per i dipendenti, luoghi quasi ludici. La Wiener descrive un mondo fatto di tanti tecnici e di pochi umanisti, tutti ugualmente devoti alla causa dell’azienda, una moltitudine di individui non sindacalizzati che si identificano con l’azienda stessa, che indossano magliette e felpe col logo della startup anche nel tempo libero, che vogliono ottimizzare il proprio corpo - anche ricorrendo a discutibili pratiche di biohacking - per aumentare la loro produttività, convinti che questa sia l’unica via possibile per partecipare ai profitti del settore. La Wiener è bravissima nel descrivere tutto questo, come pure nei passaggi riguardanti un privato fatto di una serie infinita di cene in ristoranti più o meno a alla moda, di cibi poco appetibili e di poche digressioni (alcune alcoliche e lisergiche) a una vita fatta di lavoro “accaventiquattro”. Belle anche le riflessioni su San Francisco, sul suo essere città legata al mito hippy dei Sessanta e, allo stesso tempo, culla del sogno (incubo?) tecnologico. Un romanzo da leggere, quindi, i cui meriti saggistici superano quelli narrativi. Sì perché la Wiener, pur brava nella ricerca della parola giusta, lascia che la propria scrittura sia infettata dallo scarso trasporto che lei stessa nutre verso il mondo ipertecnologico, usando una prosa che predilige il monologo interiore al dialogo. Una prosa spesso infarcita di dettagli ambientali che la rendono prolissa. Data l’esilità della trama – che è tutta nel trasferimento da NYC a San Francisco e nei pochi cambi di azienda, che non comunicano mai il senso della grande avventura ma, piuttosto, delle transizioni da un business all’altro – affiora qua e là un po’ di noia, di stanchezza, di ripetitività. A me è piaciuto e, ripeto, ne consiglio la lettura, soprattutto a chi voglia approfondire l’argomento: “luci e ombre del moderno capitalismo post-industriale visto da una prospettiva non militante”. Chi invece nelle letture cerca la passione, il trasporto, l’intreccio dei sentimenti, il ritmo serrato (o magari l’adesione politica), non gradirà questo memoir. Tuttavia, farebbe ugualmente bene a leggerlo. Un po’ deludente il finale, scontato e tirato via. Una piccola nota: dopo l’epilogo ci sono due pagine di credits dell’autrice, a testimonianza di quanto lavoro d’équipe ci sia stato dietro a questo libro.
Marco Ciampolini - 2 anni fa
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Le sette morti di Evelyn Hardcastle - Stuart Turton
Sarei una bugiarda se non vi dicessi che sono stata attirata da questo libro unicamente dalla copertina e dal titolo dal suono alquanto bizzarro.
La lettura si è rivelata una piacevole sorpresa. Il generedel romanzo è un giallo ambientato in un contesto fantastico, che molto mi ha ricordato lo stile di Mary Shelley o Horace Walpole.
Come ogni storia di mistero, proprio quando pensi di essere arrivato ad una conclusione, lo scrittore è pronto a stupirti con un colpo di scena.
Lo consiglio assolutamente a chiunque sia appassionato di gialli o del genere fantastico.
Si vocifera che ne verrà tratta una miniserie, la attendo volentieri.
Valentina Pifferati - 2 anni fa
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Piccole grandi bugie
Non fatevi ingannare dalla copertina sgargiante, questo romanzo è tinto da colori decisamente scuri. Sotto un velo ironico vengono narrate le vite di alcune amiche/nemiche che sono legate inconsapevolmente dalla setssa cosa: la violenza.
Alcune la sperimentano sotto forma di tradimento e abbandono, altre in modo più marcato. Jane e Celeste sono quelle con le esperienze più dure. Una è rimasta incinta dopo un incontro occasionale traumatico e l'altra è bloccata in un matrimonio tossico in limbo tra amore e odio.
Ho conosciuto questa storia grazie alla serie tv di qualche anno fa intitolata Big Litte Lies (che ho adorato, complice il cast stellare). Il libro che ha ispirato la serie non è da meno, fa riflettere e al contempo diverte attraverso il personaggio bizzarro di Madeliene.
Consigliato a chi vuole evadere rimanendo con i piedi ancorati per terra.
Valentina Pifferati - 2 anni fa
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Mine - un film di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro
Un film da vedere a me è piaciuto un sacco
Gianmarco Lunardi - 2 anni fa
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Un salto al buio - Catia Lari Faccenda
Ottimo romanzo, lo consiglio vivamente per il suo stile di scrittura personale e per la storia: i suoi personaggi sono veri e umani come pochi nella letteratura contemporanea italiana.
Una scrittrice da tenere d'occhio.
Giulia D'agostini - 2 anni fa
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Macchine come me e persone come voi - Ian McEwan
Questo romanzo è stato una vera sorpresa. Ne avevo sentito parlare alla radio durante il periodo della sua uscita e avendomi incuriosita l'ho segnato nella mia lista dei libri da leggere. Dopo circa un anno e mezzo sono arrivata a leggerlo senza nemmeno ricordarmi di cosa parlasse (faccio spesso così, almeno evito di rovinarmi l'effetto sorpresa) e, che dire, è stato geniale. La storia è ambientata negli anni 80, ma non sono quelli realmente accaduti, bensì una versione alternativa, una sorta di realtà parallela alla Sliding Doors. La tecnologia è molto più avanti della contemporanea, tanto che sono appena usciti in commercio Adam e Eve, robot umanoidi capaci di fare qualsiasi cosa. Tranne provare sentimenti, cosa che i robot non potranno mai fare. Oppure si? Lo scopriremo solo col tempo tramite gli occhi di Charlie e Miranda, protagonisti con una lunga serie di difetti grazie ai quali riusciamo ad entrare in empatia. Questa storia ha proprio tutto: un po' fantascienza, un po' romanzo rosa, un po' giallo e perché no, anche storia (diversa, ma talmente plausibile da farvi andare a controllare come sono andate realmente le cose). Insomma, ve lo consiglio senza se e senza ma.
Valentina Pifferati - 3 anni fa
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Il morso della vipera - Alice Basso
Romanzo ambientato nel 1935, fresco, divertente, ma da contenuti molto forti.
Scritto molto bene, infatti si legge tutto d'un fiato.
Rimane da vedere se anche i libri precedenti dell'autrice sono davvero così.
Martina Gori - 3 anni fa
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