Forum » Search
Thread | Order: Relevance | Date | Title | RSS Feed |
---|---|---|
Acquanera - di Valentina D'Urbano
"Acquanera" è il secondo romanzo di Valentina d’Urbano. Viene dato alle stampe dopo l’ottimo esordio de "Il rumore dei tuoi passi" (che può vantare uno degli incipit più belli che mi sia capitato di leggere) e conferma i tanti pregi (e i pochi difetti) della scrittrice e illustratrice romana. Il romanzo è certo una storia di fantasmi, cimiteri e obitori, e ognuna delle sue 360 pagine trasuda inquietudine, cupezza e presenza della morte, ma è anche e soprattutto la storia di quattro generazioni di donne. Clara, Elsa, Onda e Fortuna sono tutte dotate di poteri paranormali, che vanno dalla capacità di vedere i morti e di parlare con loro (posseduta dalla medium Onda), all’abilità di Clara ed Elsa nel preparare unguenti e bevande miracolose, fino alle doti del tutto particolari di Fortuna, di cui non parlo per non spoilerare la trama. Il libro racconta la storia di ognuna di queste donne e si sofferma, in particolare, su quella di Fortuna, facendosi in questo senso romanzo di formazione. Fortuna cresce sperimentando l’odio e l’emarginazione pur non avendo, in apparenza, alcun potere sovrannaturale. Sconta la sua appartenenza a quella famiglia così inconsueta e la sua vita è un inferno, almeno fino a quando non incontra Luce, la figlia del guardiano del cimitero, anche lei odiata da tutti i bravi ragazzi, e le brave ragazze, del paese, per il suo aspetto sgradevole e per il suo odore fastidioso. L’amicizia con Luce (ragazza il cui passato è come un’ombra che grava da sempre su di lei) diventerà sempre più profonda e si trasformerà in qualcosa che nessuna delle due potrà più controllare (evito ogni spoiler). Altro protagonista del romanzo è il lago. Un lago che è pieno di cadaveri (non solo di suicidi). Un lago le cui acque assumono colori che, quando appaiono limpidi e puri come nei sogni di Elsa, simboleggiano la morte, mentre quando appaiono scuri e fangosi, come nell’ambiente che circonda la capanna in cui vive Onda, significano ricerca di un luogo appartato, lontano dal mondo dei vivi. Un romanzo psicologico, quindi; caratterizzato da immagini potenti e da una trama che ha un gran ritmo (tanto che se ne potrebbe facilmente ricavare un film). Peccato per il finale, che è piuttosto discutibile e non all’altezza di ciò che è venuto prima. Un romanzo che sarebbe da leggere assolutamente, quindi, se non risentisse pesantemente di una tendenza della scrittrice che già si era intravista nel brillante esordio letterario: quella di far muovere i protagonisti come se fossero pesci in un acquario, prigionieri di un tempo che passa eppure sembra non passare mai, ingabbiati in un luogo in cui nulla di ciò che esiste al di fuori di esso può entrare (non c’è politica, non c’è cronaca se non quella che riguarda la trama, non c’è musica, non c’è neanche geografia, non c’è nient’altro che il mondo disperato di queste donne) né influenzare minimamente le loro vite. A pensarci bene, anche certe illustrazioni della d’Urbano sembrano avere questa caratteristica, ma con una differenza: sono meno monocromatiche rispetto alla sua scrittura, hanno più sfumature, e dimostrano un’attitudine all’ironia e al sarcasmo che in questi primi due libri non si è vista. Chi vuole leggere questo romanzo deve prepararsi: nessuna delle sue pagine concede tregua. Dolore, disperazione, morte, emarginazione dominano il testo dall’inizio alla fine, senza mai un’apertura o il minimo spiraglio. Marco Ciampolini - 2 anni fa |
||
Alta fedeltà - Nick Hornby
Rob è stato lasciato da Laura, all'improvviso e senza spiegazioni. Nonostante finga di star bene (come molti di noi fanno dopo una rottura), il racconto segue le vicessitudini che lo portano a dare un senso a tutto.
|
||
American History X - diretto da Tony Kaye
Bello Bellissimo film
|
||
Amok - Carlo Lucarelli, Massimo Picozzi
Dopo quindici anni dall’uscita di “Serial Killer” classe 2003 (a cui sono seguiti altri testi ma attinenti ad oggetti diversi o variegati quali “Scena del crimine”, 2005, o “Tracce criminali”, 2006, per citarne un paio), dove venivano raccontati di assassini e vittime, di omicidi e indagini, della follia e della scelta criminale, tornano in libreria Massimo Piccozzi e Carlo Lucarelli con un nuovo appassionante volume concentrato su un nuovo fenomeno sempre più diffuso e questo perché le cose sembrano cambiate e in tutto il mondo: i mostri del crimine non sono più gli assassini seriali quanto i cd. “rampage killers” ovvero individui capaci di compiere una strage in preda alla furia omicida. Ma partiamo con ordine. Primariamente è bene precisare che in criminologia e in psichiatria clinica criminale per “Amok”, termine derivante dal malese mengamok, si intende una carica furiosa e disperata che prende campo nel folle omicida che al momento di compiere l’assassinio non ha consapevolezza e responsabilità; “la colpa era cioè insita interamente nel demone tigre, nello spirito del male chiamato hantu belian che si era impadronito del corpo e della mente del killer costringendolo a colpire e correre, correre e colpire”. I primi episodi di Amok furono originariamente osservati da James Cook intorno al 1770 quando il medesimo descrisse il caso di giovani uomini che all’improvviso e senza ragione apparente alcuna, iniziavano a correre e a gridare “Amok! Amok! Amok!” tentando di uccidere chiunque capitasse a tiro.
|
||
Asfodeli e avvertimenti - Antonio Morelli
« Ho un piede
Aprendo questa quinta raccolta di Antonio Morelli veniamo subito accolti e accompagnati nella discoperta della più profonda intimità del poeta dai versi di “Quiete inodore”, una composizione che sin dalle prime battute ci riporta a tutto il modo di essere e di relazionarsi con il mondo di un uomo che ha plasmato la sua sofferenza in vita in versi e parole di grande entità da lasciare ai posteri.
|
||
Aspetta primavera, Bandini - John Fante
Primo romanzo del ciclo di Arturo Bandini a essere pubblicato, nel 1938. Chi ha già letto gli altri tre noterà subito una differenza: è narrato in terza persona. Questo deriva senz’altro dall’indecisione dell’autore riguardo alla scelta del vero protagonista della vicenda: Arturo Bandini o il padre Svevo? Non a caso l’incipit si apre con il muratore Svevo Bandini che, con le scarpe sfondate, rattoppate con la carta di scatole di pasta non pagate, avanza “scalciando la neve profonda”. L’inverno freddissimo del Colorado è un altro protagonista della storia. Un inverno che non dà tregua e costringe il muratore Svevo a mesi di inattività non retribuita, durante i quali la sua famiglia fa la fame. Nella miseria e nella disperazione cresce Arturo, maturando un odio totale verso la madre (donna debole e succube delle proprie convinzioni religiose) e verso la sua condizione di immigrato di origine italiana (“di nome faceva Arturo, ma avrebbe preferito chiamarsi John. Di cognome faceva Bandini, ma lui avrebbe preferito chiamarsi Jones. Suo padre e sua madre erano italiani, ma lui avrebbe preferito essere americano”). È un romanzo duro, crudo (nella seconda pagina ci sono ben tre bestemmie), spesso violento e a tratti audace, la cui pubblicazione credo abbia richiesto un certo coraggio da parte dell’editore, ma è il primo capolavoro di John Fante e vale davvero la pena leggerlo. Ogni sua pagina è intrisa di passione e tanti passaggi raggiungono alte vette poetiche. Bellissime sono le scene ambientate nella scuola (che gran personaggio suor Mary Celia, col suo occhio di vetro; che grandi personaggi sono i compagni di scuola di Arturo). Stupendo è il capitolo otto, quello dedicato alla storia di sesso tra Svevo e la ricca, e affascinante, Effie Hildegarde. Commovente è la narrazione dell’amore (non corrisposto) di Arturo per Rosa. Spietato il racconto dell’umiliazione di Mary, costretta ad acquistare merci a credito senza avere mai soldi per saldare il conto. Crudele il ritratto della madre di Mary, donna davvero detestabile. Un romanzo da leggere assolutamente, quindi, anche se leggermente inferiore a Chiedi alla polvere. Perché inferiore? Perché, innanzitutto, mentre Aspetta primavera sembra più una raccolta (anche se perfettamente organica) di racconti, Chiedi alla polvere è un romanzo fatto e finito. Inoltre, l’indecisione di Aspetta primavera (il romanzo è la celebrazione del mestiere di Svevo o la narrazione dell’adolescenza di Arturo?) in Chiedi alla polvere scompare, e il lettore è catapultato nella mente di un Arturo ormai deciso a diventare un grande scrittore, con effetti di coinvolgimento maggiori. Fante, nella prefazione, dice che “tutta la gente della mia vita di scrittore, tutti i miei personaggi si ritrovano in questa mia prima opera” e, se lo dice lui, perché non credergli? Marco Ciampolini - 2 anni fa |
||
Beautiful you - Chuck Palahniuk
Dopo le asfittiche ultime prove,Palahniuk sembra aver acquistato il vecchio smalto. Al centro delle mirabolanti vicende di questo romanzo c'è una giovane donna americana "in carriera" che si scontra con un super- cattivo da film alla James Bond al quale deve impedire la realizzazione di un progetto su scala mondiale assurdo e inquietante.
|
||
Becoming - Michelle Obama
L'ho finito, anche se con fatica, perché è praticamente suddiviso in: parte 1, dove parla di come era fantastica la sua famiglia e come era brava a scuola, parte 2, dove parla di come erano innamorati e poi un pò in crisi lei e Barack, e parte 3, che mi sembra tutto una difesa delle scelte fatte, a cominciare dal tirare dentro le figlie piccole in "un'avventura" come la presidenza degli Stati Uniti.
|
||
Beren e Lúthien - John Ronald Reuel Tolkien
Come molti sapranno, la storia originale di Beren e Lùthien è contenuta nel Silmarillion, opera mitopoietica composta da J.R.R. Tolkien e pubblicata postuma, nel 1977, dal figlio Christopher in collaborazione con Guy Gavriel Kay.
|
||
Bianco - Bret Easton Ellis
«Un atteggiamento tossico sembrava esondare da ogni post o commento o tweet, che ci fosse davvero oppure no. Si trattava di un fastidio del tutto nuovo, qualcosa che non avevo mai provato prima – e si accompagnava a un’ansia, a un senso di oppressione che provavo ogni volta che mi arrischiavo ad andare in rete, la sensazione che in un modo o nell’altro avrei commesso uno sbaglio per il semplice fatto di condividere ciò che pensavo a proposito di qualcosa. Tutto ciò sarebbe stato impensabile dieci anni prima – l’idea che un’opinione potesse diventare qualcosa di sbagliato – ma in una società inferocita e polarizzata c’era chi veniva bloccato a causa delle proprie opinioni e perdeva follower perché veniva percepito in modi che potevano essere inesatti. […] Come se nessuno sapesse più distinguere un essere umano da una serie di parole digitate su un touchscreen. Il clima culturale in generale pareva incoraggiare il dialogo ma i social media erano diventati una trappola e quello a cui in realtà miravano era silenziare l’individuo.» L’idea di scrivere un nuovo romanzo, a distanza di ben trent’anni dall’uscita del primo, nasce in Ellis nel 2013 mentre si trovava in autostrada dopo aver trascorso una settimana a Palm Springs con un’amica con cui era stato al College negli anni ’80. Anni ben diversi da quelli attuali, anni in cui andare a scuola o non andarci, guardare un programma o un altro alla tv non aveva la stessa risonanza, protezione e ovattamento di oggi. «Non fregava niente a nessuno i quello che guardavamo o no, di come ci sentivamo o di cosa desideravamo, e non eravamo ancora stati incantati dalla religione del vittimismo. Paragonata a ciò che oggi viene considerato accettabile ora che i bambini sono ipercoccolati fino all’inettitudine, era l’età dell’innocenza.» Anni in cui comprese che non l’essere vincenti ma l’essere “frustrati, disillusi e feriti rendeva il piacere, la felicità, la consapevolezza e il successo sia più tangibili sia palesemente assai più intensi”. Ma adesso chi è Bret Easton Ellis oltre che “il cattivo” per eccellenza che divulga coscientemente sui vari canali social impressioni, considerazioni, provocazioni e pensieri? Come non far ciò, d’altra parte, in un’epoca in cui la libertà di parola si è evoluta al punto tale da diventare una cd. “responsabilità di parola” all’interno della quale viene abnegato ogni confine tra pubblico e privato tanto che ogni individuo si sente legittimato a proferir tutto ciò che passa per la mente? Il risultato pertanto del fenomeno è che i confini del che cosa è possibile o meno raccontare si sono talmente dilatati da raggiungere estremità vacue, non limiti.
«In passato, nell’ormai lontana epoca dell’Impero, gli attori potevano tutelare le loro identità scrupolosamente progettate ed enigmatiche in modo più facile e completo rispetto al giorno d’oggi, in cui tutti viviamo nel mondo digitale dei social media e dove i nostri telefoni catturano senza filtri istanti che una volta restavano privati e ciò che ci passa spontaneamente per la testa può venire tradotto in una frase o due su Twitter.» Maria Darida - 4 anni fa |
||
255 Messaggi in 248 Discussioni di 33 utenti
Attualmente online: Ci sono 1 utenti online