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L'inverno di Giona - Filippo Tapparelli
Non ha ricordi della sua infanzia Giona. Nemmeno uno. È consapevole di esser stato bambino ma la sua memoria è ferma ai giorni del presente o a quelli del passato prossimo. Vive in un tempo immobile dove i rammenti non esistono, dove non esiste un prima e dove la sua unica eredità è un logoro maglione rosso rattoppato che ha mutato la sua forma in funzione della sua crescita. Ha quindici anni, Giona. Vive con Alvise, un uomo che riveste la funzione di padre e nonno e che lo educa in modo austero, con la violenza, con il dolore, con il castigo. Perché questo è l’unico modo di apprendere, l’unico modo di far propria la conoscenza. «Hai sbagliato e queste sono le conseguenze. Lo sai benissimo. Io ti spiego come fare ma tu continui a sbagliare. Non impari. Ecco perché ti punisco. La sapienza, Giona, si acquisisce attraverso la sofferenza. Deve essere così. Diffida da chi impara con gioia, perché ciò che si apprende senza dolore, altrettanto facilmente si dimentica.» Anche i corpi raccontano una storia, l'una di precisione e di esattezza, di controllo, l'altra una di insicurezza, sottomissione, asservimento. Mentre Giona ha i capelli color iuta, il torace sottile, le gambe magre e lunghe, il collo e spalle spioventi, il vecchio ha capelli candidi, senza interferenze di grigio, mani grandi ma non sproporzionate, giuste per torcere la legna o insegnare, un corpo robusto quel tanto che basta a compiere i vari lavori e a incutere timore. Non solo nel nipote, ma in tutto il paese. Perché tutti, indistintamente, temono l’anziano. Tutti, indistintamente, si piegano al suo volere. «Perché non hai portato il maglione di sopra, Giona? mi chiede di nuovo. […] Guardami, Giona. Ora ti insegnerò cosa è il freddo e cosa è una scelta. Brucia il maglione nella stufa o lascialo dov’è ed esci da questa casa. […] È facile, Giona. Butta il maglione nella stufa o vai fuori di qui. La sua voce è diversa. Più affilata. Se avesse un colore sarebbe grigia come la lama del suo coltello. “Non sai cosa fare, Giona? È facile. Brucia il maglione, ha detto il vecchio. Brucialo e accucciati per terra vicino alla stufa. Almeno ti scalderai ancora per qualche ora, fino a quando non si raffredda. E domani ci penserai”. Ma così lo perderò e avrò freddo per sempre. “Allora esci dalla porta, passa la notte al gelo e spera che domani gli sia passata. Spera che ti faccia ritornare a casa, spera che ti ridia il maglione. Ma non hai nessuna certezza che lo farà. Quale delle due cose è quella giusta, bambino?” Non so.» Voce, che cosa devo fare? Voce, taci. Madre, dove sei? Padre, perché non vi trovo più? Mi sono allontanato soltanto per far pipì. Carbone, cosa ci fai qui micio? Scappare. Scappare da quelle punizioni, affrontare il passato, ricordare. «I ricordi fanno male ma non uccidono, Giona. Sei stato coraggioso. Sei ancora vivo.» Chi sei davvero Giona? Sei sicuro che questo sia il tuo vero nome? Un medico, un ospedale. Ciao Luca. Cos’è davvero l’inverno di Giona?
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L'isola delle anime - Johanna Holmström
«E poi la gran trovata di mettere il punto dopo “ho trovato”: “ho trovato che la vita non vale la pena di essere vissuta”, “ho trovato”, “ho trovato”: il tutto e il niente» Una storia semplice, o forse una storia affatto semplice. Una storia semplice perché specchio di una realtà che ci appartiene e che è diventata fin troppo quotidianità comune, una storia semplice che semplice non è perché narra di un giallo intricato che, se vogliamo, non trova nemmeno davvero soluzione. Una storia semplice che viene narrata da un narratore mai semplice e sempre molto molto particolare e minuzioso nel suo scrivere. Uno scrittore che sa rendere apparentemente semplice un fatto affatto tale.
«Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia.» Durrematt, Giustizia Ultimo suo scritto, forse, ma certamente da non dimenticare nonostante l’asciutezza del medesimo. Un gioco di specchi e intrecci che non delude le aspettative e invita alla riflessione il lettore. «L’atavico istinto contadino a diffidare, a vigilare, a sospettare, a prevedere il peggio e a riconoscerlo gli si era risvegliato fino al parossismo.» Maria Darida - 14 giorni fa |
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L'isola delle anime - Piergiorgio Pulixi
«Non appena aveva messo piede in quella terra ancestrale, circondata dal mare, il canto del male si era però attenuato, come se la natura stessa se ne fosse fatta carico per lei soffocando la propria melodia.» Purtroppo non tutti i crimini riescono a trovare una loro soluzione. Al contrario. Ci sono casi, e non sono pochi, che per una ragione o per un’altra, restano privi di colpevole e finiscono con il diventare dei veri e propri cold case. Inchieste che non trovano soluzione, che lasciano le persone care senza un perché, che mettono a dura prova i migliori detective del settore che per quante indagini facciano, non trovano minimamente soluzione a quell’enigma che li ha accompagnati. Tuttavia, alcuni casi, possono anche diventare un’ossessione e questo lo scopriranno molto bene, e anche troppo presto, le ispettrici Mara Rais ed Eva Croce. Quasi per caso indagano su misteriosi omicidi di giovani donne e rimasti irrisolti. Ma se quei casi non fossero poi così relegati al passato? Se in realtà quei casi fossero presente? Se fossero tornati a essere vivi? Se il killer fosse tornato a mietere vittime? Se non avesse mai smesso?
«Il male non sanato genera altro male, in una spirale infinita.» A una trama studiata e cadenzata si somma uno stile narrativo caratterizzato da un alternarsi di voci narranti che si snodano tra miti e leggende che ben si coniugano con quello che è il noir e il crimine da risolvere. Un binario parallelo interessante anche se alle volte tende ad essere eccessivo per il lettore tanto da far perdere, in parte, di interesse e pathos.
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L'ombra dell'uomo - Jane Goodall
Quando parliamo di scienza siamo soliti considerarla come un insieme di attività di manipolazione, sperimentazione e quantificazione di dati raccolti in laboratorio e difficilmente riusciamo ad assimilarla allo studio del comportamento animale. In questo è consistito il lavoro dell'allora (priva di titoli e dottorati) ventiseienne Jane Goodall, ella ha dedicato la sua giovinezza e tutta la sua vita allo studio dell'individualità degli scimpanzé al fine di identificare la loro storia come specie, ed è per questo che soventemente non le sono stati riconosciuti i giusti meriti del suo operato. L'attribuire un nome ad ogni animale incontrato, l'osservare lo spulciamento reciproco e/o le cure prestate dalle madri ai figli, non è il classico modus operandi delle ordinarie ricerche scientifiche, e pertanto è stato interpretato come uno sconvolgimento delle regole empiriche nonché del contesto sociale ed ecologico che ne caratterizza la vita.
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L'orologiaio di Everton - Georges Simenon
«Del resto, non si trattava di controllo, Ben lo sapeva. Se a volte suo padre faceva in modo di vederlo, non era certo per sindacare il suo comportamento, ma solo per il piacere di un contatto, sia pure a distanza.» C’è una strana quiete in quel di Everton, una cittadina scandita dal ritmo della quotidianità, di una vita fatta di bicchieri di latte bevuti a casa di donne che si occupano della prole e mariti che si dilettano tra i locali e i boccali di vino e birra. Una quiete che nasconde una strana forma di tenerezza che, a sua volta, è emblema e simbolo di “una quiete prima della tempesta”, di una quiete che si mixa a dolcezza. Sembra quasi un paradosso nel paradosso. Ben è solo un bambino di pochi mesi, profuma di latte e pane appena sfornato. Il padre, Dave Galloway, si ritrova solo con lui. La moglie se ne è andata. Non una riga, non una parola. Tanti piccoli fogli accartocciati e strappati con tanti piccoli grandi tentativi di scrivere di un messaggio forse d’addio, forse di commiato, forse di derisione. Una donna dal profumo e dalle scarpe volgari, scelta appositamente per questo. Una piccola sfida per Dave ma anche il suo personalissimo atto di ribellione contro il sistema. Che fare adesso? Per Dave conta solo la felicità del figlio e a questo si dedica interamente. Senza nulla mai mettere innanzi a lui. Ben prima di tutto. Come stai Ben? Sei felice Ben? “Sì, Dad”, rispondeva solennemente questi. Un bravo ragazzo, un giovane uomo cresciuto con un padre forse troppo silenzioso ma pur sempre un padre. Un bravo ragazzo che anche a scuola sapeva cavarsela. Sono passati quindici anni e Dave è adesso spiazzato. È un sabato sera. A differenza del precedente in cui era raffreddato e non era uscito, sta tornando da casa di Musak. C’è silenzio, troppo silenzio. Ben presto si accorge che manca anche il suo furgone, quello di seconda mano acquistato appositamente per i piccoli spostamenti del suo lavoro di orologiaio. Ben già sapeva guidarlo seppur non disponesse ancora di una vera e propria patente di guida. Eppure è Ben ad averlo preso, pare, da quel che viene ad apprendere da una famiglia vicina, per una fuga d’amore. E se non si fosse trattata solo di una fuga d’amore? Se quel figlio cresciuto affinché fosse felice si rivelasse un assassino? Un giovane uomo capace di togliere la vita ad altri e senza nemmeno pentirsene? Chi è davvero Ben? Quali e quante risposte dare a quei giornalisti che cercano lo scoop e che interrogano il padre con domande alle quali egli stesso fatica a rispondere perché forse conscio del fatto che quel figlio non lo conosce davvero? «Ma Dave ascoltava? Gli pareva che le parole non fossero più parole, ma immagini che gli passavano davanti agli occhi come una pellicola a colori. Non avrebbe saputo ripetere una sola frase, eppure aveva l’impressione di aver seguito i movimenti di ciascuno dei personaggi citati.» Ancora una volta Simenon propone ai suoi lettori un’indagine psicologica forte, profonda, mai lasciata al caso. Un’indagine accompagnata da un ritmo narrativo ben cadenzato, mai troppo rapido, mai troppo lento. Anzi. Siamo davanti a un libro in cui personaggi ordinari vengono strappati a una vita che credono essere la loro per essere condotti sull’orlo del baratro, un baratro che non consente ammissioni, scuse, scusanti, eccezioni. Si tratta di un rapporto causa-effetto. Il figlio ha commesso un reato di cui non sembra essersi pentito, anzi, sembra andarne fiero. Il padre, dal suo canto, non abbandona quel figlio che è appunto carne della sua carne. Prima cerca di analizzare e comprendere, è destabilizzato, risponde ai giornalisti e alla polizia quasi come se fosse in uno stato di nebbia e confusione, dopo cerca di seguirne le orme, il figlio è pur sempre inseguito dalle forze dell’ordine di sei Stati e dall’FBI, inoltre, scopre anche rifiutarsi di volerlo vedere. All’inizio cerca anche di giustificarne il perché poi prende consapevolezza del dato e del fatto.
«Lo sguardo dei tre uomini non tradiva forse una stessa vita segreta, o meglio, una vita che aveva dovuto ripiegarsi su se stessa? Sguardo di esseri timidi, quasi rassegnati, mentre l’identica smorfia del labbro indicava una ribellione repressa. Erano tutti e tre della stessa razza, una razza opposta a quella di un Lane o un Musselman, o di sua madre. Gli pareva che in tutto il mondo non ci fossero che due tipi di uomini, quelli che chinano la testa e gli altri.» Maria Darida - 4 mesi fa |
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L'osso del cuore - Valentina Santini
«Perché sei entrata nell’osso del cuore e non mi riesce levarti più.
Il suo nome è Asma e cerca la sua mamma. Sa che da un giorno all’altro arriverà anche lei, che la riconoscerà subito perché forse è così che si riconoscono le persone. Dalle menomazioni, dalle mancanze. E lei con la sua mano vizza e menomata lo sa molto bene. Crede anche di riconoscerla quando quel giorno la vede arrivare. È lei, non può che essere lei. Non deve che essere lei. È come lei. Uguale in tutto, anche nelle ferite fisiche oltre che nell’anima. È condotta da lui, Esodo. Colui che per molti altri non è che un galoppino, un servo della dittatura. Eppure Esodo, quando vede la bambina che Asma è, sa che deve salvarla. La scuote, le scatena dentro quel tornare a voler vivere che ancora esiste in lui, a differenza e disappunto di tutto quel che poteva pensare o sperare.
«Ero capovolto. Il fare di Asma mi rifletteva come il pelo dell’acqua, mentre a me non era mai riuscito vedermi per bene nemmeno allo specchio. Questa consapevolezza divenne lampante: Asma era una cosa mia. Una bimba, il fine di tutto. Da diventarci matti.» Romanzo d’esordio di Valentina Santini è “L’osso del cuore”, scritto edito dalla casa editrice E/O che fa il suo ingresso in libreria in questo trascorso mese di giugno. E quello di Valentina è un esordio davvero degno di nota. Uno scritto forte, emotivo, empatico e che non poteva che essere narrato così. Nulla risparmia Valentina ai suoi personaggi, né nella prima parte, né nella seconda. Solo e soltanto con questo stile e con questa vividezza l’opera avrebbe potuto rendere la sua componente emotiva, solo così essa sarebbe potuta davvero arrivare a quel lettore che, battuta dopo battuta, è trattenuto e rapito dalla storia ma anche colpito e segnato da questa. Uno scritto veramente bello, uno di quei libri che leggi per curiosità, perché intrigato dalla trama e che invece rappresentano un gioiello da non perdere. Che resta, che segna, che marchia il cuore, che coinvolge e fa riflettere. Una grande e potente storia d’amore e non solo. «Pagine piene di scrittura per capire che la versione alternativa non esiste. I fatti sono conseguenze di azioni, di scelte. Avevo deciso. Stabilito eventi dall’inizio, senza saperlo» Maria Darida - 4 mesi fa |
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L'ultimo eroe sopravvissuto - Mark T. Sullivan
Per me questo lbro è scritto male. Forse è la traduzione che fa acqua. La storia in se non è male, ma non arriva ad appassionarmi. Non lo consiglio. Kristina Wallin - 4 anni fa |
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La ballata di Iza
«Possibile che fosse morta anche lei e semplicemente non se ne fosse accorta? Possibile che una persona morisse prima di rendersene conto?» Con “La ballata di Iza”, Magda Zsabò, dà vita ad un romanzo di grande intensità che si concentra su quelli che sono i rapporti umani e sulla sovente incapacità di essi. Alla base delle vicende narrate vi sono Etelka, un’anziana donna nata e cresciuta in un paesino di provincia, madre di Iza Szòcs, medico reumatologo residente in Pest, Vince, giudice riabilitato marito della vecchia e padre della giovane, Antal, ex marito della figlia e a sua volta dottore e Lidia, infermiera che ha vegliato sugli ultimi giorni di vita del magistrato.
«Aveva ragione, aveva di nuovo perfettamente ragione, ma le persone anziane hanno passato la vita insieme ai loro oggetti, per loro ogni cosa possiede un valore molto più profondo che per i giovani» «Ogni giorno si raccontava che Iza non l’aveva lasciata sola nella sua vecchia casa, aveva sistemato ogni cosa al suo posto, le aveva impedito di lavorare, si prendeva cura di lei, la ricopriva di doni. Dopo piangeva, a lungo, piena di vergogna, perplessa.» Maria Darida - 5 anni fa |
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La bambina e il sognatore - Dacia Maraini
Nani Sapienza non è il classico maestro di scuola: egli fa del suo mestiere una missione, una passione, gioia, ed orgoglio.
«Spero solo che tu ci rifletta sopra, Ahmed, devi capire da te dove il ragionamento fila e dove diventa ingarbugliato.. me lo fai questo favore? Ci provi a ragionare con la tua testa? Io non ti dico di scegliere fra le cose che dice tuo padre e quelle che ti dico io, ti prego solo di pensare con il tuo cervello, perché tu, come me, come tutti gli altri qui dentro, sei dotato di un motore che funziona perfettamente, e questo motore si chiama mente. E sono sicuro che, come me, come noi, la tua mente conosca il senso della giustizia. Ora ti chiedo: è giusto considerare inferiore un bambino solo perché di pelle nera e di religione diversa, quando sappiamo che quella pelle deriva dalla melanina e non da una cultura inferiore e quella religione ha lo stesso diritto della tua di essere praticata?» p. 93 «Non so quanto resisterò in questo paesino di montagna, mangiando pesce di lago e di fiume, ascoltando i discorsi amari di mia madre, guardandola muoversi come una leonessa in gabbia. Ma pure so che non me ne andrò fino alla fine della vacanza, perché la tenerezza mi prende alla gola; assieme a una pietà rabbiosa, alla voglia di scappare, e anche di abbracciarla e di baciarla su quel collo di tartaruga. Perché so che, come dice lei, questa è l’ultima occasione per starle vicino. E dopo ci perderemo per sempre» p. 172 «Ma lui ridacchia e pretende di esprimere il suo rozzo pensiero che identifica col buon senso, un po’ come il coro che commenta le azioni dei protagonisti nella tragedia greca: si presenta quale assennatezza ma è solo conformismo» p. 221 «E’ consolante per una comunità pensare che la responsabilità stia altrove, che i malandrini non appartengano a quel luogo, e che degli sconosciuti malviventi siano venuti da fuori a uccidere e devastare il povero quartiere innocente. La città intera si considera estranea a questa sparizione di cui ormai non si parla più, ma che pesa sulle coscienze dei più sensibili. Ci si può liberare di un enigma risolvendolo, dicono i saggi, non seppellendolo. Anche se ormai siamo abituati a seppellire tutto, perfino le più schifose immondizie: un poco di terra sopra e buona notte! Ma ogni tanto la terrà si apre e manda fuori un improvviso puzzo di foglia. E i pettegolezzi riprendono» p. 267 Maria Darida - 6 anni fa |
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La caduta dei Golden - Salman Rushdie
New York, la famiglia Golden costituita dal padre Nerone (detto Nero) Julius Golden e dai tre figli maschi, due ottenuti dalla moglie più anziana e uno, il più piccolo, di anni ventidue, dalla consorte più giovane, fanno ingresso al Greenwich Village, a bordo di una limousine Daimler, con nuove identità, un passato da dimenticare, alcuna presenza femminile al seguito, e una serie di “golden standard” da rispettare. In merito, chiare sono le indicazioni del genitore: da adesso in poi, mai e poi mai, alcuno di loro avrebbe dovuto far riferimento a quelle origini che si sono lasciati alle spalle. Grazie, infatti, alle loro caratteristiche fisiche, indubbia sarebbe stata la mimetizzazione, basti pensare che Nero con la sua conformazione tozza, i suoi occhi neri, i suoi avambracci da lottatore, i suoi opulenti monili d’oro, i suoi capelli tinti tirati all’indietro, sarebbe potuto passare tranquillamente tanto per un inglese, quanto per un immigrato dell’Europa medio-orientale. Quale luogo migliore per ricominciare, passare inosservati e dimenticare? Quale luogo migliore per lasciarsi alle spalle quel passato triste che ha avuto inizio in India, in quel di Bombay, luogo dove nella notte tra il 26 e il 27 novembre 2008 i terroristi musulmani di Lashkar-e-Taiba, l’esercito dei Giusti, provenienti dal Pakistan nello scagliare i loro attacchi prima contro la stazione ferroviaria nota come Victoria Terminus e, di poi, contro il Leopold Café a Colaba, contro l’Oberoi Trident Hotel, il Metro Cinema, il Cama and Albless Hospital, la Jewish Chabad House e il Taj Mahal Palace, per quelli che furono tre giorni di assedio e di combattimento, mieterono, tra le varie vittime, anche la madre dei più grandi giovani Golden?
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