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La vita in due - Nicholas Sparks
Russell Green, trentaquattro anni, pubblicitario, nato a Charlotte nel North Carolina, con Vivien, PR conosciuta nel 2006 a New York, credeva di aver trovato l’amore della sua vita. E’ un eterno romantico il protagonista nato dalla penna di Nicholas Sparks, tanto che non appena ha associato il nome della mora ed affascinante donna con quello di Julia Roberts in “Pretty Woman”, non ha avuto dubbi e nel 2007 è convolato a nozze con la medesima per poi, a distanza di un lasso temporale ancora più breve, riscoprirsi padre di London, una deliziosa bambina che lo ha nominato guardarobiere degli abiti delle sue sette barbie.
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La zia subacquea e altri abissi famigliari - Enzo Fileno Carabba
Enzo Fileno Carabba scrive a mente aperta e questo è il suo pregio più grande. Puoi guardare senza filtri nelle pieghe dei ricordi, sussultando per il riso sommesso che nasce allo scorrere delle pagine. Finalmente nessun preconcetto di normalità, nessuna triste rassegna dei mali propri e dell'umanità. I peggiori obbrobri della società sono masticati, ingeriti e digeriti per noi che leggiamo una critica intelligente del circostante, che non si limita a raccontare fatti e misfatti, ma indaga le relazioni, le reazioni, il senso del tempo che scorre. Un Proust dei nostri giorni con un contagioso senso dell'umorismo. Una perla di sincerità. Cristina Trinci - 7 anni fa |
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Le braci
«Il generale la osservava incuriosito, col busto ancora proteso. Le due vite fluivano assieme, con lo stesso lento ritmo vitale dei corpi molto anziani. Si conoscevano a fondo, più di quanto si conoscano madre e figlio, più di due coniugi. La comunione che univa i loro corpi era più intima di qualsiasi altro vincolo. Forse a causa del latte. Forse perché Nini era stata la prima a vedere il generale nell’attimo della sua nascita, coperto del sangue impuro in cui vengono al mondo gli uomini. Forse a causa dei settantacinque anni che avevano trascorso insieme, sotto lo stesso tetto, mangiando lo stesso cibo, respirando la stessa aria stantia della casa, con la stessa vista sugli alberi davanti alle finestre – avevano condiviso ogni cosa. Nessuna parola poteva definire il loro rapporto. Non erano né fratelli né amanti. Esiste qualcosa di diverso, e se ne rendevano oscuratamente conto. Esiste una fratellanza particolare che è più stretta e profonda di quella che unisce i gemelli nell’utero materno. La vita aveva mescolato i loro giorni e le loro notti, ciascuno dei due era consapevole del corpo e dei sogni dell’altro» p. 20 La vendetta. E’ soltanto per merito di questa che Henrik è ancora vivo. E adesso che Konrad ha scritto, è giunto il momento di assaporarne ogni aspetto, ogni gusto e retrogusto. La loro è un’amicizia che dura sin dalla nascita, è un sentimento indissolubile, che va oltre il canonico legame di sangue. Eppure, per quanto vicini, i due, non potrebbero essere più diversi. Differenti sono le origini sociali, differenti sono le disponibilità economiche, differenti sono i caratteri. Ed allora, com’è possibile, che essi siano al contempo così affini, così indivisibili, così uniti? E perché, ancora, quel legame si è rotto? Cosa è accaduto per far si che Henrik abbia aspettato ben quarantuno anni per la resa dei conti? Perché Konrad all’improvviso scompare senza dare spiegazioni e notizie? Perché il generale è sempre stato così certo del fatto che prima o poi questo sarebbe tornato per affrontare quei silenzi, quel “non detto” che a lungo è stato covato?
«Ma come tutti i baci umani anche questo, alla sua maniera tenera e grottesca, è la risposta a una domanda che non è possibile affidare le parole.» Maria Darida - 6 anni fa |
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Le ceneri di Angela - Frank McCourt
Eccellente, vale davvero la pena di essere letto, la traduttrice ha compiuto un mezzo miracolo nel rendere in italiano il fraseggiaare irlandese Gianni La Capra - 4 anni fa |
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Le cronache di Narnia - C.S. Lewis
Forse vi domanderete cosa si provi a leggere una saga fantasy per l'infanzia alla soglia dei 30 anni e questo è ciò che posso dire: è fantastico!
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Le libere donne di Magliano - Mario Tobino
E’ su un colle il manicomio, su un piccolo colle nella pianura lucchese. Il poggio si chiama S. Maria delle Grazie, il paese più vicino è Magliano e nella consuetudine locale, essere stati a Magliano significa essere stati matti. La struttura si divide in maschile e femminile e ciascuna divisione è ordinata e disposta secondo il grado di agitazione e pericolosità dei pazienti. Si parte dal livello dei più tranquilli e si arriva agli agitati, passando, tra l’uno e l’altro, ad un delirio all’altro. Conta tra i 1.039 e i 1.045 malati, assistiti da circa duecento infermieri (molti dei quali improvvisati e/o appena più eruditi dei contadini perché affezionati e fedeli alla mentalità chiusa, bigotta e stratificata della campagna in quanto “nel manicomio vedono l’aiuto finanziario alla loro impresa familiare e trattano gli ammalati con quella sagacità, ed anche quel distacco, che hanno i contadini a potare le viti; e però mantengono sempre un solido fondo umano, anche se si deve togliere una corteccia per arrivarci”) e vari medici. Tra questi, Tobino.
«Gli ho regalato un pacchetto di sigarette, e mi ha risposto con una gentilezza che i sani non hanno: “non le fumerò, le terrò per ricordo» Avvalersi, oltretutto, della scelta narrativa del diario attribuisce allo scritto il carattere-forza di testimonianza; delle condizioni di vita e di degenza delle ricoverate, ma anche di quella che è una patologia spesso e volentieri inspiegabile nei suoi meccanismi di origine e di sviluppo.
«Questi matti sono ombre con le radici al di fuori della realtà, ma hanno la nostra immagine (anche se non precisa), mia e tua, o lettore. Ma quello che è più misterioso domani potranno avere, guariti, la perfetta immagine, poi di nuovo tornare astratti, solo parole, soltanto deliri. Dunque è il nostro incerto equilibrio che pencola, e insuperbiamoci e insieme siamo umilissimi, che siamo soltanto uomini capaci delle opposte cose, uguali, nel corso delle generazioni, alla rosa dei venti» p. 29 La sua analisi si dipana su molteplici fronti, in particolare, nella delineazione della struttura quale luogo di protezione e di tutela dal mondo esterno che, ancora reduce dal secondo conflitto mondiale, è intriso di fame, ignoranza, paura, ingenuità, pregiudizio, ed ancora nella demarcazione sottile di quel labile confine che comporta la designazione del soggetto all’una o all’altra categoria di “sani e malati”.
«Così abbiamo, nel reparto medici, diretto inflessibilmente dalla malata Lella:
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Le sette morti di Evelyn Hardcastle - Stuart Turton
Sarei una bugiarda se non vi dicessi che sono stata attirata da questo libro unicamente dalla copertina e dal titolo dal suono alquanto bizzarro.
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Le stanze buie - Francesca Diotallevi
Per puro caso, alla biblioteca di Cerreto Guidi, scorgo con la coda dell’occhio questo libro. Ciò che da subito mi colpisce è la sua immagine di copertina. Quasi d’impulso prenoto il libro ed inizio a leggerlo. Vengo immediatamente proiettata nell’epoca più bella fine ‘800 inizio ‘900. I protagonisti sembra di conoscerli da sempre e la trama mi coinvolge al punto che riesco a divorarlo nel giro di poche settimane.
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Le tre del mattino - Gianrico Carofiglio
Era appena adolescente, Antonio, quando gli è stata diagnosticata la patologia dell’epilessia idiopatica. Dopo un primo consulto in Italia, il giovane, con il padre, matematico ed insegnante, e la madre, docente di lettere, ormai separati, decide di recarsi in Francia, a Marsiglia, presso lo studio del Dottor Gastaut, un luminare nel settore della malattia de qua. A seguito di questo la vita del paziente torna ad essere “quasi normale”, può riprendere gran parte di quelle abitudini a cui era stato costretto a rinunciare e la sindrome sembra ormai essere sotto controllo. Trascorsi tre anni (siamo circa nel 1983), padre e figlio – ormai diciottenne – tornano in quel de la ville francese per il responso ultimo: sarà Antonio definitivamente guarito oppure dovrà continuare a sottoporsi alla terapia?
«Ero scettico e lui per convincermi ha citato un grande matematico polacco, Stefan Banach: diceva che i buoni matematici riescono a vedere le analogie ma i grandi matematici riescono a vedere le analogie tra le analogie. E’ una definizione geniale, e il mio amico diceva che la stessa cosa vale per i giuristi: quelli bravi colgono le analogie, le omogeneità e le disomogeneità, i grandi le analogie fra le analogie. Sono capaci di portare il discorso su un livello diverso.» «Se la gente crede che la matematica non sia semplice, è soltanto perché non si rende conto di quanto complicata sia la vita» Maria Darida - 6 anni fa |
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Le vie del senso - Annamaria Testa
Consigliato in occasione de Il Maggio dei Libri 2022
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