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Buio - Maurizio De Giovanni
«Dormire no, però. Dormire è impossibile. C’è troppo buio per dormire. Per tenere lontani i brutti sogni, c’è troppo buio.» Con “Buio. Per i bastardi di Pizzofalcone” Maurizio De Giovanni dona al lettore un romanzo di grande intensità e avente ad oggetto una doppia indagine. Se da un lato vediamo impegnati l’Ispettore Lojacono e l’agente Alex Di Nardo nella risoluzione di un atipico furto in appartamento, dall’altro, la squadra composta in prima linea da Romano e Aragona, è impegnata nel ritrovamento di Edoardo Cerchia, detto Dodo, di anni 10, rapito durante una mostra al museo con la scuola.
«Ci sono notti.
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C'era una volta un post...
..e ora non c'è più. Chi l'ha cancellato, dimmi,sei stato tu? Questa specie di filastrocca buona da propinare ad un bambino, io la rivolgo a te, ignoto censore che ti sei preso la briga e forse anche il gusto(parafrasando De Andrè) di cancellare un mio post. A quanto ne so nelle comunità virtuali di discussione, un buon amministratore motiva l'eliminazione di contenuti inadeguati e contatta l'utente che li ha postati,non fosse altro per impedirgli di ripetere l'errore.
Allora mi censurerai anche questo? LOL Angelo Amenta - 8 anni fa |
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Cambiare l'acqua ai fiori - Valėrie Perrin
Un libro introspettivo, che ti prende per mano, accompagnandoti ad un vero scontro con la vita e poi con la morte. Perché è di questo che si parla e spesso ci ritroviamo a fare i conti con chi ormai non c’è più e tra lasciarsi andare e ricominciare, Valérie Perrin ci ricorda costantemente che c’è sempre una buona ragione per rimettersi in gioco, perché in ogni caso ne varrà sempre la pena.
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Caporetto - Alessandro Barbero
Nato a Torino nel 1959 e specializzato in storia militare e del Medioevo, Alessandro Barbero è uno degli storici migliori presenti nel panorama italiano. Con “Caporetto” l’autore riesce non solo ad inquadrare in modo ineccepibile quelli che sono stati i fatti e il loro susseguirsi, ma offre altresì al lettore una perfetta sintesi di ciò che possiamo trovare in altre opere a firma Monticone, Silvestri, Pieri, Faldella, Fadini, Rommel etc , che a più riprese si sono occupati dell’argomento.
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Carta bianca - Carlo Lucarelli
Aprile 1945, il commissario De Luca, ex comandante, è tornato alla questura, è tornato ad indagare dei crimini comuni prendendo le distanze dalla polizia politica a cui, per ragioni di servizio, è dovuto sottostare negli anni di dittatura. Ed è così che si trova ad investigare sulla morte di Vittorio Rehinard, personaggio noto per i suoi festini del venerdì, appartenente al partito nonché fortemente legato alla famiglia Tedesco. Detta morte, avvenuta probabilmente mediante l’ausilio di un tagliacarte, prima conficcato nel cuore e di poi utilizzato per evirare il defunto, è oggetto delle attenzioni dei piani alti talché ben presto il commissario ex comandante si trova a dover far i conti proprio con quel passato da cui vuole prendere le distanze. Giochi e manovre politiche si celano infatti dietro al Rehinard, la cui morte finisce con l’essere utilizzata quale espediente necessario per “incastrare” la persona scomoda di turno.
«[..] In mezzo a tutta questa confusione pochi sanno veramente chi sono e cosa fanno ed è per questo che ti tieni così attaccato al tuo ruolo, tu che ce l’hai, da dirlo ogni volta che puoi, sono un poliziotto, sono un poliziotto. Così non devi pensare al fronte che si avvicina o ai punti delle tessere per il razionamento. E’ una cosa che faccio anch’io» p. 48 Maria Darida - 7 anni fa |
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Cecità - José Saramago
Una città indefinita, un anno indeterminato, un’epidemia sconosciuta ed inspiegabile, un’epidemia espressa in una forma di cecità atta ad immergere “in un bianco talmente luminoso, talmente totale da divorare, più che assorbire, non solo i colori, ma le stesse cose e gli esseri, rendendoli in questo modo doppiamente invisibili” prima singoli individui, di poi la globalità.
«E’ di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria» p. 37 Tutto ha inizio con la quarantena dei soggetti infettati in un ospedale psichiatrico. I ricoverati sono suddivisi tra coloro che hanno già manifestatamente palesato la malattia, e coloro che al contrario, è presumibile che ne siano stati contagiati. Ogni giorno, alla solita ora, le regole da mantenere vengono dettate da un altoparlante, ogni giorno, per tre volte, viene – o dovrebbe essere – consegnato il vitto. La luce artificiale, è sempre attiva. Le guardie presiedono l’ingresso della struttura onde evitare fughe. Qualsiasi conseguenza interna alla medesima è mera responsabilità dei degenti. Se dovesse scoppiare un incendio, come una rappresaglia, cioè, alcun intervento esterno è previsto ed ammesso. Queste e molte altre le disposizioni da seguire.
«La paura acceca, disse la ragazza dagli occhiali scuri, Parole giuste, eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi, Chi sta parlando, domandò il medico, Un cieco, rispose la voce. Un semplice cieco, qui non c’è altro. Allora il vecchio dalla benda nera domandò, Di quanti ciechi ci sarà bisogno per fare una cecità. Nessuno gli seppe rispondere.» p 116 «Non si può mai sapere in anticipo di cosa siano capaci le persone, bisogna aspettare, dar tempo al tempo, è il tempo che comanda, il tempo è il compagno che sta giocando di fronte a noi, e ha in mano tutte le carte del mazzo, a noi ci tocca inventarci le briscole con la vita, la nostra, Parlare di gioco in una chiesa è peccato, Alzati, usa le tue mani, se dubiti di quanto dico, Giurami che è vero, che le immagini hanno gli occhi tappati, Quale giuramento ti è sufficiente, Giura sui tuoi occhi, Lo giuro due volte, sui miei e sui tuoi occhi. E’ vero, è vero.» p. 269 Maria Darida - 6 anni fa |
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Cent'anni di solitudine - Gabriel Garcia Marquez
Questo romanzo è l'emblema della corrente letteraria del Realismo magico. Attraverso la storia della famiglia Buendia vediamo scorrere in poco più di 400 pagine la storia della Colombia vista dagli occhi di personaggi senza età come la capofamiglia Ursula.
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Chi si ferma è perduto - Marco Malvaldi, Samantha Bruzzone
«Se vi doveste trovare, una notte d’autunno mentre piove, completamente nudi ai comandi di un aereo di linea che sta sorvolando Ponte San Giacomo, e si dovessero spegnere d’improvviso entrambi i motori, il mio consiglio è di non lasciarvi prendere dal panico. In primo luogo perché Ponte San Giacomo, il posto dove vivo, è un paese per modo di dire: in realtà è una strada in mezzo a una pianura, e le uniche case sorgono accanto alla strada stessa, per cui se siete esperti non avrete nessun problema a trovare un campo o un altro spiazzo erboso abbastanza vasto per atterrare senza fare danni.
Serena Martini, di anni quarantacinque, non è retribuita per il lavoro che costantemente svolge. Ha due figli, Pietro, tredicenne che studia violoncello e Martino, di anni dieci, che si allena con lo judo. Il marito con cui è coniugata da ben due decenni, insegna all’Università ed è ordinario di Intelligenza Artificiale e Informatica. Serena è laureata ed è esperta di chimica sopramolecolare dei metalli, ha un ottimo olfatto e si barcamena tra la scelta di un lavoro a tempo pieno o meno viste le varie incombenze. Ed è proprio in una domenica come tante che ella scopre per caso un cadavere. Scoperta, questa, che cambierà particolarmente le carte in tavola.
«Sapete come si allena l’olfatto? È una cosa curiosa, lo si fa sfruttando il vero superpotere del cervello umano: la capacità di astrazione. Di immaginarti cose che non ci sono.» Samantha Bruzzone, chimica, e Marco Malvaldi, chimico, sposati da due decenni, appassionati di gialli e delle parole, scrivono e firmano a quattro mani “Chi si ferma è perduto”, opera che conduce i lettori tra le maglie di una nuova ed eclettica protagonista. È il primo loro romanzo a quattro mani ma certamente non sarà l’ultimo. Giocano tra fiction e non fiction, tra letteratura e cinema, tra chimica e giallo. Anche la voce narrante prevalentemente è nella prima persona di Serena ma con intervalli alla terza nei capitoli su Corinna.
«Ecco, in quel momento avevo esattamente lo stesso problema. Avevo sentito quell’odore, forte e persistente, in un punto dove non doveva esserci? Sì. Significava quello che mi ero messa in testa? Boh. A quel punto lì, non lo sapevo più. Anzi, man mano che camminavo, me ne convincevo sempre meno.» Maria Darida - 8 mesi fa |
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Chiedi alla polvere - John Fante
Cattura fino dall’incipit, questo straordinario romanzo di John Fante del 1939, il terzo del ciclo di Arturo Bandini, ma il secondo a essere pubblicato (La strada per Los Angeles fu rifiutato da tutti gli editori e fu pubblicato solo nel 1985). L’ironia amara delle prime righe e l’eccezionale descrizione emotiva della passeggiata lungo la Olive Street (in cui “le orrende casupole di legno trasudavano storie di omicidio”) fino al tuttora esistente Biltmore Hotel (con le file dei taxi in attesa dei ricchi clienti e le donne, bellissime ed eleganti, che escono dalla porta d’ingresso) mettono subito in chiaro al lettore che quello che sta per leggere è un romanzo che non dimenticherà. È vero, il testo è crudo (comunque molto meno di Aspetta primavera, Bandini e di La strada per Los Angeles, incredibilmente audaci per i tempi in cui furono scritti). È politicamente scorretto. È dedicato a quelle zone di Los Angeles povere, piene di insetti e polverose che erano Bunker Hill e i suoi dintorni, non certo a quelle ricche di Hollywood e Bel Air. Ed è altresì vero che il suo protagonista, Arturo Bandini (ma anche Camilla, Vera, Sammy, Hellfrick e molti altri personaggi) si comportano in un modo spesso detestabile. Tuttavia, proprio in questo risiede la forza del romanzo, nel riuscire a far appassionare il lettore alle vicende di uomini e donne traboccanti umanità. Arturo, in particolare, è carne e sangue: è pieno di difetti (è maleducato, razzista e spendaccione; è un cattolico imbottito di condizionamenti religiosi e, a tratti, si comporta come un misogino) ma anche di pregi (è generoso, romantico e, a modo suo, è capace di amare con gentilezza). Ma, soprattutto, l’incarnazione di Arturo proposta da questo romanzo (diversa da quelle precedenti) crede nella sua arte e spende la sua intera esistenza nell’inseguimento di un sogno: diventare uno scrittore di successo. Per raggiungere questo obiettivo si trasferisce dal Colorado, dove vive con la famiglia di origine italiana, a Los Angeles. Lo fa perché va cercando l’ispirazione o meglio, perché vuole vivere una vita che sia talmente ricca di esperienze e fatti e personaggi interessanti da poterla trasferire su carta e trasformarla in un grande romanzo. Per questo Arturo non è un uomo d’azione e appare spesso passivo: perché osserva, direi registra, ogni vicenda, con l’occhio di chi sa che poi elaborerà quella vicenda, fino a trasformarla in materia narrativa. Ogni pagina di questo libro (ancora oggi attualissimo, sia per i temi trattati sia per lo stile narrativo) è stupenda, e il romanzo è pieno zeppo di momenti memorabili: il bagno nelle acque dell’oceano (le cui onde sembrano in grado di bagnare persino il lettore, tanto le descrizioni di Fante sono potenti); l’immagine vivida di Camilla che esce dall’acqua; la scena dell’amore con Vera o, sempre con Vera, il momento in cui lei mostra ad Arturo le sue cicatrici; il terremoto vissuto a Long Beach (in cui il cattolico Arturo arriva a giudicare l’evento sismico una punizione di Dio per il suo peccato); le scene del fumo della marijuana con Camilla. Ma ci sono tantissimi altri momenti da ricordare, oltre a questi. La storia di amore e odio con Camilla è una delle più originali che mi sia mai capitato di leggere, così come originali sono i dialoghi di Arturo con la stessa Camilla. Fante sa dosare crudezza e poesia con una abilità che è solo dei grandi e in questo romanzo, per la prima volta, la trama è davvero coerente e potente (Aspetta la primavera, Bandini scritto in terza persona, è più una raccolta di straordinari racconti sull’adolescenza di Arturo, vissuta nella miseria più nera, oltre che un grande omaggio alla professione del padre, mentre La strada per Los Angeles è un formidabile esercizio narrazione a briglia sciolta). Non voglio aggiungere altri commenti che non siano un invito esplicito a leggere e rileggere questo romanzo (e anche gli altri del ciclo). Una doverosa avvertenza: leggete il prologo, scritto da John Fante, solo dopo aver letto il libro. Si tratta, infatti, di un racconto autonomo, che ha il pregio di spiegare l’origine del titolo, ma che ha il notevole difetto di riassumere il contenuto del romanzo e di anticiparne il finale. Concludendo: chiedete alla polvere della strada se questo romanzo è un capolavoro e lei vi risponderà che sì, lo è, senza ombra di dubbio. Marco Ciampolini - 2 anni fa |
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Come imparare a studiare - Matteo Rampin
Un libro scorrevole e breve, con qualche buon consiglio, ma niente di illuminante. Antonio Rossi - 6 anni fa |
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