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Schiava della libertà
KAWEKA E LITA
«Lei stessa capì che quel momento non si sarebbe affatto concluso con il dolore delle frustate: comportava anche il superamento di una tappa nella vita di una ragazzina innocente che come tutte loro era capace di sorridere di fronte alle disgrazie, di giocare nello stesso posto dove poco prima un nero era crollato esausto. Mamma Ambrosia si era presa cura di Kaweka cercando di fare per lei ciò che facevano le altre madri con le proprie figlie.» Madri anno 2007. Maria Regla Blasco, Reglita da bambina e ora Lita, è una giovane donna finita a lavorare per la banca Santadoma per avere un’entrata stabile per sé ma anche per la madre sempre più prossima alla pensione. Tuttavia, ella ama l’arte, la cultura, le lettere, è specializzata in queste e mai avrebbe pensato di far altro. La madre, a sua volta, è domestica sempre i Santadoma ed è tramite la conoscenza diretta che anche la figlia può “usufruire” dei benefici lavorativi di cui diventa destinataria ma anche debitrice.
«Lita danzò, trascinata da una forza incontrollabile, alternando, come la giovane che l’aveva preceduta, un ritmo frenetico a movenze più delicate. Sentiva il mare vicino a sé e le onde lambivano il suo spirito, ma, a differenza dell’altra ballerina, Lita cantava… E lo faceva con una voce che non era la sua…» Pagina dopo pagina Falcones ricostruisce un puzzle fatto di mille sfaccettature e mille volti. È un romanzo solido e stratificato “Schiava della libertà”, un romanzo ricco di temi e riflessioni sottese. Al contempo gli stessi personaggi sono vividi e ben caratterizzati, il lettore li percepisce quali realistici e non fatica a farne proprie le aspettative, le paure, le ingiustizie, i desideri. Ad avvalorare il tutto vi è uno stile narrativo curato, minuzioso, arricchito da ricerche e ricostruzioni storiche. Un libro che sa far riflettere sul concetto di libertà, un qualcosa che oggi tendiamo a dare troppo spesso per dovuto e/o per scontato quando in realtà non lo è ed è frutto di lotte, ribellioni, sacrifici, contestazioni e tanto altro ancora da parte di chi, in passato, è dovuto sottostare alle angherie dei più forti per essere nato nella condizione sociale “sbagliata” o nel paese “sbagliato”. Maria Darida - 5 mesi fa |
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Si sta facendo sempre più tardi - Antonio Tabucchi
«Il passato è più facile da leggere: uno si volta all’indietro e, potendo, dà un’occhiata. E poi, sia come sia, esso rimane sempre impigliato da qualche parte, magari a brandelli. A volte bastano soltanto l’olfatto e le papille gustative, è notorio: lo sappiamo da certi romanzi, anche belli. Oppure un ricordo, quale che sia: un oggetto visto nell’infanzia, un bottone ritrovato in un cassetto, che so, una persona che essendo un’altra te ne ricorda un’altra, un vecchio biglietto del tram. E all’improvviso sei li, proprio su quel trammino sferragliante che andava da Porta Ticinese al Castello Sforzesco, come un niente entri nel portone del palazzo ottocentesco, lo scalone ha un corrimano di ghisa lavorata con una testa di serpente, Sali due rampe, la porta si apre senza neppure che tu suoni il campanello e non te ne stupisci affatto, anche perché nell’ingresso, sopra il cassettone rococò, dietro la vecchia pendola neoclassica, vedi che lo specchio antico chiazzato di macchie brunastre è attraversato da una ferita che lo fende da un angolo all’altro, e ricordi che quel giorno mi dicesti: una persona con una malattia come la sua non può sfidare così il destino, è come chiamare disgrazie. E a quel punto capisci che la porta si è aperta da sola semplicemente perché lui, che voleva sfidare il destino, è stato fottuto come tutti quelli che vogliono sfidare il destino, chissà dove è mai sepolto, e invece lo specchio ferito è sempre li, come quel giorno in cui tu capisti chiaramente ciò che doveva succedere» p. 23-24 Leggere Tabucchi è sempre un’esperienza unica. Ogni suo elaborato è capace di suscitare emozioni diverse e di ammaliare il lettore quando per peculiarità contenutive quanto per quelle stilistiche. Come non restare stupefatti, ad esempio, dalle sua grande padronanza linguistica? Potrà sembrare banale o ovvio, ma se avete avuto modo di leggere una o più delle sue opere, avrete certamente notato come, tra l’una e l’altra, tra un “Sostiene Pereira” ed un “Requiem”, o ancora un “Tristano muore” , o un “Per Isabel. Un mandala”, la qualità oratoria è mutevole, rara, preziosa, doviziosa, precisa, articolata, ma mai uguale.
«Storie. O meglio: le mie storie. Che dirne? A volte ci penso e avrei voglia di parlarne, ma poi in un istante la voglia mi passa, e così non te ne ho mai parlato. Però ora, anche se di sfuggita, ti vorrei dire non tanto quello che esse sono, cosa abbastanza difficile, ma cosa esse non sono. Abbi pazienza, ma come sai anche tu al negativo ci si spiega sempre meglio, o almeno io mi sono sempre spiegato meglio. Sono storie senza logica, prima di tutto. Detto fra noi, mi piacerebbe proprio trovare quello che ha inventato la logica per cantargliene quattro. E senza rime, soprattutto senza rime, dove una cosa non torna con un’altra cosa, un pezzo di storia con un altro pezzo di storia, e tutto risulta così, com’è la vita, che non obbedisce a rime, e ciascuna vita ha il suo accento, che è diverso dall’accento altrui.» p. 77 Maria Darida - 6 anni fa |
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Sogno numero 9 - David Mitchell
Ambientato a Tokyo, questo libro narra la storia di Eiji, un giovane in cerca del padre che non ha mai conosciuto. Comunemente definito come un romanzo di formazione, è molto di più.
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Solaris [Risorsa elettronica] - [Un film di ]Steven Soderbergh
Un film che va visto….
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Sostiene Pereira
In una nota in fondo al libro (p. 211 un.ec.Feltrinelli) Tabucchi spiega che il Dottor Pereira lo visitò per la prima volta in una sera di settembre del 1992. Seppur fosse ancora un qualcosa di vago e di indefinito era già un personaggio in cerca di autore.
«Ma lei, dottor Pereira, lo sa cosa gridano i nazionalisti spagnoli?, gridano viva la muerte, e io di morte non so scrivere, a me piace la vita, dottor Pereira, e da solo non sarei mai stato in grado di fare necrologi, di parlare di morte, davvero non sono in grado di parlarne. In fondo la capisco, sostiene di aver detto Pereira, non ne posso più neanch’io». «[…] la filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità». «La smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro». Maria Darida - 7 anni fa |
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Spare - Prince Harry
Che fatica!
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Storia del nuovo cognome - Elena Ferrante
Secondo libro della serie de L'amica geniale, questa storia, come la precedente, ci fa fare un viaggio nel tempo e ci riporta agli anni '60.
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Storia della bambina perduta - Elena Ferrante
Siamo giunti all'ultimo libro della saga de Lamica geniale (meno male, oserei dire).
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Storia di chi fugge e di chi resta - Elena Ferrante
Questo è il terzo volume della saga de L'amica geniale. Ritroviamo le protagoniste esattamente dove le abbiamo lasciate: Elena alla presentazione del suo primo libro, Lila a lavorare nella fabbrica di salumi.
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Storia di una balena bianca - Luis Sepùlveda
Il suo nome è Mocha Dick, è un capodoglio nato nelle acque fredde che circondano un’isola detta dagli uomini Mocha, il suo corpo splende dei colori della luna e si erge con tutta la sua forza maestosa nei ventisei metri che lo compongono. Egli è l’erede della forza e della resistenza di tutti i maschi del gruppo, è un capodoglio il cui mondo è fatto di silenzio perché "nessuna creatura si lamenta, grida, grugnisce o strilla sotto la superficie e solo noi giganti rompiamo a volte la quiete”. Abita nel mare delimitato dalla terra dove spunta il chiarore del giorno e dall’orizzonte in cui il sole si immerge per far posto alle stelle. Qui l’acqua è fredda, è attraversata dalle correnti gelide che arrivano da lontani confini dove tutto è bianco e dove il mare si trasforma in roccia color sale che cresce quando le notti sono molto lunghe e cala quando i giorni sembrano non avere fine; qui la sua missione ha luogo perché nell’implacabilità che è dell’uomo Mocha Dick ha conosciuto la popolazione dei lafkenche, della Gente del Mare, una popolazione che prende dalla riva soltanto il necessario per vivere e che ringrazia la generosità del mare celebrandolo con un rito antichissimo, una popolazione che prende dai boschi soltanto dopo aver ricevuto il permesso, una popolazione che con un rito particolarissimo celebra i defunti. Perché quando un lafkenche muore il suo corpo viene portato, alla sera, sulla riva del mare onde poter essere accompagnato da una delle quattro balene vecchie, una trempulkawe, sull’isola mgill chenmaywe, il luogo dove ci si riunisce prima del grande viaggio. Quaggiù il defunto si spoglia del suo corpo mortale fatto di carne e ossa per diventare leggero come l’aria per restare in attesa, insieme agli altri della sua stirpe che lo hanno preceduto nella morte, di questo. E in questa traversata Mocha dovrà dare prova di tutto il suo coraggio e di tutta la sua forza. Il suo compito, la sua missione è quella di proteggere dalla furia, dall’avidità e dalla cattiveria umana le quattro balene anziane anche se questo significherà non avere scrupoli, significherà essere considerato la maledizione dei balenieri, significherà essere l’implacabile giustizia del mare, significherà essere la forza di chi non ha più niente da perdere. «Gli uomini vengono da molto lontano e nulla frena la loro cupidigia, nemmeno la morte. Vengono da regioni che non abbiamo mai visto né mai vedremo, perché attraversano un oceano grande come questo per raggiungere lo stretto chiamato da loro Capo Horn, che ha le rive piene di relitti, di silenziosi resti di naufragi, a testimonianza dell’audacia degli uomini, che non desistono mai» Correva il 20 novembre 1820 quando nelle acque dell’Oceano Pacifico, lungo la costa del Cile, davanti all’isola di Mocha, un grande capodoglio bianco attaccò e affondò la baleniera Essex salpata dal porto di Nantucket, nell’Atlantico settentrionale, quindici mesi prima. Pare che l’attacco abbia trovato ragione nell’uccisione di una femmina di balena e il suo piccolo da parte dei ramponieri. E si narra ancora che molte navi furono necessarie per catturare il grande capodoglio del colore della luna soprannominato Mocha Dick con i suoi ventisei metri e oltre cento arpioni conficcati nel corpo. E si racconta ancora che nelle notti di luna piena dagli abissi, dalla costa occidentale della disabitata isola di Mocha, si veda emergere un grande capodoglio bianco il cui colore brilla nella notte più profonda.
ps. nota bene, è da questa leggenda che trae origine il celebre Moby Dick. Buona lettura! Maria Darida - 5 anni fa |
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