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The Canterville ghost - Oscar Wilde
purtroppo il libro che mi avete dato non ha il cd anche se nella descrizione fisica il cd viene mensionato.
Potete fornirmi anche il cd???
Grazie
Fabiana Messina - 9 mesi fa
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Dimitri Costagli - 9 mesi fa
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Primo sangue - Amélie Nothomb
«Mi portano davanti al plotone di esecuzione. Il tempo si dilata, ogni secondo dura un secolo più del precedente. Ho ventotto anni.
Di fronte a me, la morte ha la faccia di dodici fucilieri. La consuetudine vuole che una delle armi sia caricata salve. Così che ognuno possa ritenersi innocente dell’omicidio che sta per essere perpetrato. Dubito che oggi quella tradizione sia stata rispettata. Nessuno di questi uomini sembra aver bisogno di una possibilità di innocenza.»
Amélie Nothomb torna in libreria con la sua consueta metodicità proponendo ai suoi lettori il suo trentesimo lavoro. La belga è nota per essere una scrittrice eclettica e fantasiosa ma anche molto originale nel suo scrivere e narrare. Non manca mai di toccare tematiche sottili quanto di far riflettere tra le righe il lettore.
Tra queste pagine a far da protagonista è Patrick Nothomb, padre di Amélie, venuto a mancare a causa della pandemia e quindi del Covid. Si può dire che questo sia un omaggio vero e proprio alla figura del padre, una vita che viene ricostruita con cura, una storia che si plasma e che si muove tra dramma, ironia, sagacia e perspicacia. Ecco allora che prende forma il racconto.
Patrick è un ragazzino che desidera solo l’amore della madre ma è anche un diplomatico di successo, tra i tanti grandi traguardi il riuscire a salvare 1.500 ostaggi in Congo dopo lunghe trattative. Ma il padre non era e non è stato solo questo. È un uomo che ha visto la vita, che ha visto la morte. Un uomo che nel 1964 si trova davanti al plotone d’esecuzione e vede scorrere tutto il suo vivere innanzi ai suoi occhi.
La Nothomb passerà poi alla figura di Pierre, il nonno ed ancora al concetto di educazione che non è lo stesso che possiamo ravvisare in altri luoghi e famiglie. Come tanti e come tutti Patrick sbaglierà, cadrà, si rialzerà, la strada che lo porterà alla carriera diplomatica sarà ben particolare ma intrisa di verità. Perché alla fine anche il negoziare ha un suo perché e un suo svilupparsi tra retroscena, compromessi, giustizie a metà e bicchieri tanto pieni quanto mezzi vuoti.
«Sopravvivere all’infanzia restava un’esperienza darwiniana per i figli di Pierre Nothomb.»
Narrato in prima persona, “Primo sangue” è uno scritto che rispetta e si conforma a tutti i canoni e le impostazioni proprie della narratrice. Non supera le 128 pagine, è sviluppato in modo fluente, non mancano tematiche ricorrenti, non manca l’introspezione e la memoria.
Il risultato sarà quello di uno scritto godibile, perfettamente nothombiano, sufficientemente distaccato ma anche un omaggio in piena regola.
«Nonostante il bagno di sangue, Patrick Nothomb non svenne. Mai sottovalutare l’istinto di sopravvivenza. Come nove ostaggi su dieci, fu annoverato tra i superstiti.»
Rosa Taurisano - 9 mesi fa
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La mia bottiglia per l'oceano - Michel Bussi
«Qual è secondo voi il miglior inizio possibile per un romanzo?” “ Un morto!” risponde senza esitare la comandante Faréyene. “Ci sei andata vicina” esclama contento il professore di scrittura (…) Meglio di un cadavere è nessun cadavere! Solo una sparizione.»
Michel Bussi, scrittore francese eclettico e dal gran talento narrativo, torna in libreria ancora una volta con un romanzo molto originale edito per Edizioni E/O e che riprende in mano niente meno che un famoso giallo di Agatha Christie. Il tutto tra cibi esotici, veleni, luoghi, cimiteri abbandonati, inseguimenti nella giungla, testamenti e chi più ne ha, più ne metta.
Caratteristica pregnante del giallista francese è la capacità di ambientare romanzi gialli particolarissimi in luoghi altrettanto variegati, il tutto mixando una trama avvincente con una buona dose di suspense.
Siamo nelle isole Marchesi, Hiva Oa, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. È qui, luogo ove è venuto a mancare Paul Gauguin, che si svolge una strana e insolita gara di scrittura. Pierre Yves François (PYF) indice qui un concorso ove cinque aspiranti scrittrici si dedicheranno alla scrittura al fine di redigere il loro romanzo e vedere decretare un vincitore. La vincitrice verrà pubblicata e otterrà la fama e la celebrità auspicata. Sarà nella pensione Au Soleil Redouté che egli organizzerà il laboratorio di scrittura a cui partecipano le cinque donne: Clémence, trentenne e sportiva, sognatrice, immaginifica ma anche espansiva, Eloise, coetanea, malinconica, diametralmente opposta e introversa, Faréyne, quarantenne, comandante di commissariato a Parigi e fissata con lo scrivere, accompagnata dal marito Yann, capitano di gendarmeria, Marie Ambre, quarantenne, benestante, tendente al bere, accompagnata dalla figlia sedicenne Maima e Martine, settantenne, blogger di grande successo, amante della scrittura e oltre quarantamila follower.
Tuttavia la vita è imprevedibile e molto spesso non va come vorremmo. Lo stesso sarà per Marie-Ambre, Clémence, Eloise, Martine, Farèyne, le cinque prescelte, che si ritroveranno davanti a indagini che le condurranno sino a un epilogo che porterà alla rivelazione di una inaspettata realtà. Eh sì, perché a distanza di poche ore dal loro arrivo PYF sparirà nel nulla, non lasciando nessuna traccia se non i suoi vestiti piegati su uno scoglio e un sasso con degli strani simboli tatuati. Ed ancora, quale sarà il vero significato delle 5 statue scolpite che verranno rinvenute nei pressi dell’hotel dove soggiornano le cinque aspiranti scrittrici? La sparizione dell’uomo sarà solo l’inizio di una serie di misteri che si susseguiranno tra scomparse ma anche misteriose morti.
«Le Marchesi si odiano o si amano, disgustano o incantano. Alcuni le considerano uno degli ultimi paradisi terrestri, altri le vedono come il giardino maledetto del Tiaporo, il diavolo della Polinesia.»
Tra tatuaggi e tatuatori, statue votive e tiki che rimandano a riti misteriosi, ciottoli abbandonati e testamenti, il tutto per una perfetta e ben riuscita parodia de “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie. A far da filo conduttore il desiderio di amare, essere amati e il successo letterario, un successo talmente ambito da andare oltre ogni prezzo e scrupolo.
Tra le pecche dell’opera vi è quella di una trama che nel suo voler essere più complessa e misteriosa rischia di finire con l’essere un poco più farraginosa da seguire tanto da far perdere di intensità e ritmo alla narrazione. A ciò si aggiunga anche l’uso di termini della cultura locale che non sempre rendono agevole la lettura.
Tra i pregi il chiaro ed inequivocabile omaggio a una delle scrittrici regine del giallo più affascinanti di sempre. Una di quelle scrittrici che non ci si stanca mai di leggere e che ogni volta che vengono lette riservano sorprese, colpi di scena e riflessioni.
Un libro godibile, all’altezza delle aspettative anche se non tra i migliori dell’autore a causa del suo tendere a perdersi in una densità talvolta controproducente.
Maria Darida - 9 mesi fa
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Un colpo al cuore - Piergiorgio Pulixi
In un “Colpo al cuore” Piergiorgio Pulixi dona ai suoi lettori uno scritto composto da tre voci narranti: il vicequestore Vito Strega e le due ispettrici, già conosciute ne “L’isola delle anime”, Mara Rais, dura, dai modi bruschi e impulsiva, ed Eva Croce, dall’acutezza ben mixata al riserbo. Le due donne, in particolare, di origini diverse, l’una milanese e l’altra sarda, hanno tra queste pagine un ruolo ancora più coinvolgente e fatto di emozioni che diventano ancora più tangibili nello scorrimento di vicende che le mettono a dura prova.
Vito Strega, dal suo canto, è un uomo affascinante e dalla corporatura possente e da sempre attratto anche dal male. Caratteristiche, queste, che non lo rendono inosservato al passaggio e che lo portano anche al non riuscire a mimetizzare la sua brillantezza nell’investigazione. Dal passato tormentato, criminologo, da vicende personali che non sembrano volerlo lasciare in pace, da un lavoro che lo spreme fino al midollo per quanto sia acuto e perspicace, è una figura emotiva, dal suo canto fragile, preda e vittima di se stessa.
Lo stesso relazionarsi con il mondo di “fuori” è per lui difficoltoso. Il suo loft è il luogo in cui ritirarsi e star bene, lui, i suoi spazi, la gatta nera decisamente gelosa ma anche rispettosa degli spazi, non invadente e a sua volta acuta. Le confidenze sono invece riservate a una ragazzina, adolescente, che altro non è che una vicina.
“Occhio per occhio, dente per dente”. È questa la filosofia che muove il serial killer ideato da Piergiorgio Pulixi, un serial killer molto particolare che ha deciso di riparare ai torti della giustizia. Se non ci pensa la legge a risolvere e condannare il colpevole individuato, sopraggiunge lui. Lui e la sua maschera dai tratti demoniaci, lui e quel video con cui rende il destinatario egli stesso complice. Perché con votazioni anonime il destinatario esprimere il suo giudizio, nessuno lo saprà ma alla fine il risultato finale sarà una punizione e una tortura senza possibilità d’appello per il colpevole. Ma è concepibile individuare una vendetta alla Dantès?
Il tutto tra la Sardegna e Milano, in un perfetto mixarsi di colpi di scena e situazioni al limite. Al tutto si somma uno stile narrativo fluido, ben ritmato, una trama ben costruita e solida che coinvolge e trattiene.
Nella creazione del pathos, nel coinvolgimento emotivo, nella denuncia verso retroscena di un vivere fatto di apparenze e di una giustizia terrena che spesso è disattesa e lascia posto ed adito a una giustizia individuale e crudele dell’uomo detentore del presunto vero e giusto.
Un libro che gioca anche con la musica, basti pensare al titolo omonimo di Mina, che ben trattiene e incuriosisce, con qualche cliché ma nel complesso piacevole.
Maria Darida - 9 mesi fa
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L'isola delle anime - Piergiorgio Pulixi
«Non appena aveva messo piede in quella terra ancestrale, circondata dal mare, il canto del male si era però attenuato, come se la natura stessa se ne fosse fatta carico per lei soffocando la propria melodia.»
Purtroppo non tutti i crimini riescono a trovare una loro soluzione. Al contrario. Ci sono casi, e non sono pochi, che per una ragione o per un’altra, restano privi di colpevole e finiscono con il diventare dei veri e propri cold case. Inchieste che non trovano soluzione, che lasciano le persone care senza un perché, che mettono a dura prova i migliori detective del settore che per quante indagini facciano, non trovano minimamente soluzione a quell’enigma che li ha accompagnati. Tuttavia, alcuni casi, possono anche diventare un’ossessione e questo lo scopriranno molto bene, e anche troppo presto, le ispettrici Mara Rais ed Eva Croce. Quasi per caso indagano su misteriosi omicidi di giovani donne e rimasti irrisolti. Ma se quei casi non fossero poi così relegati al passato? Se in realtà quei casi fossero presente? Se fossero tornati a essere vivi? Se il killer fosse tornato a mietere vittime? Se non avesse mai smesso?
L’una milanese, l’altra cagliaritana, arrivano per strade diverse alla sezione “delitti insoluti” della questura di Cagliari. Entrambe si portano dietro un dolore da elaborare e da espiare, entrambe devono maturarlo e farlo proprio. Ma Eva e Mara sono chiamate, in quella Sardegna evocativa e profonda, a investigare sulla morte di Dolores Murgia, donna brutalmente e barbaramente uccisa che viene ritrovata in un sito nuragico. Il crimine è legato al culto della Dea Madre e questo introduce per il lettore un binario parallelo che rimanda a leggenda, tradizione, mito. Accanto alle figure femminili vi è l’ispettore capo Moreno Barrali, in pensione. Due gli omicidi irrisolti che si porta dietro come una spada di Damocle e che ne rappresentano la più grande ossessione.
«Il male non sanato genera altro male, in una spirale infinita.»
A una trama studiata e cadenzata si somma uno stile narrativo caratterizzato da un alternarsi di voci narranti che si snodano tra miti e leggende che ben si coniugano con quello che è il noir e il crimine da risolvere. Un binario parallelo interessante anche se alle volte tende ad essere eccessivo per il lettore tanto da far perdere, in parte, di interesse e pathos.
Il risultato è quello di un thriller elegante, abbastanza solido che sa omaggiare la terra d’origine dello scrittore stesso. I personaggi sono a loro volta ben delineati e credibili per chi legge che non fatica a lasciarsi trasportare. L’attenzione è rivolta in particolare anche a quel che riguarda la scelta stilistica del gergo dialettale, mai volgare ma sempre molto ricercato. Ampio spazio è lasciato alla sociologia e all’antropologia di questa terra che spesso oscilla tra presente e passato. Forse non originalissima la trama e presenti i dovuti cliché, ma nel complesso è uno scritto godibile per gli amanti del genere.
Maria Darida - 9 mesi fa
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Chi si ferma è perduto - Marco Malvaldi, Samantha Bruzzone
«Se vi doveste trovare, una notte d’autunno mentre piove, completamente nudi ai comandi di un aereo di linea che sta sorvolando Ponte San Giacomo, e si dovessero spegnere d’improvviso entrambi i motori, il mio consiglio è di non lasciarvi prendere dal panico. In primo luogo perché Ponte San Giacomo, il posto dove vivo, è un paese per modo di dire: in realtà è una strada in mezzo a una pianura, e le uniche case sorgono accanto alla strada stessa, per cui se siete esperti non avrete nessun problema a trovare un campo o un altro spiazzo erboso abbastanza vasto per atterrare senza fare danni.
In secondo luogo., anche se non sapete pilotare un aereo non c’è problema, perché quello che vi ho descritto ovviamente è solo un sogno. Per essere precisi, è il sogno che ho fatto stanotte.»
Serena Martini, di anni quarantacinque, non è retribuita per il lavoro che costantemente svolge. Ha due figli, Pietro, tredicenne che studia violoncello e Martino, di anni dieci, che si allena con lo judo. Il marito con cui è coniugata da ben due decenni, insegna all’Università ed è ordinario di Intelligenza Artificiale e Informatica. Serena è laureata ed è esperta di chimica sopramolecolare dei metalli, ha un ottimo olfatto e si barcamena tra la scelta di un lavoro a tempo pieno o meno viste le varie incombenze. Ed è proprio in una domenica come tante che ella scopre per caso un cadavere. Scoperta, questa, che cambierà particolarmente le carte in tavola.
Come di consueto Serena si diletta nella camminata con Giulia e Debora. Sulla strada di casa si accorge di aver perso le chiavi e decide di tornare indietro per vedere se le rinviene sullo stradone. Come spesso accade in questi frangenti, la vescica fa i capricci e lo stimolo del fare la pipì non è controllabile. Si inoltra appena appena nel boschetto ed è qui che vede il corpo di un uomo senza vita. Due gli odori che percepisce: polvere da sparo e acidemia isovalerica. Ma chi potrebbe aver sparato al cinquantaquattrenne Luigi Caroselli, professore pro tempore della cattedra musicale della scuola privata Della Casa di Procura Missionaria? Un uomo solo, appartato, senza famiglia, amante della natura, colto, clavicembalista ma anche decisamente un discreto rompiscatole. È un personaggio, inoltre, noto per il contesto sociale in quanto la scuola in questione è l’unica del posto ed è frequentata anche dai figli di Serena stessa.
Del caso viene investita la gigantessa – un metro e novantuno centimetri dai capelli biondi e gli occhi grigi orlati di verde, non sposata, non madre, non fidanzata, Ana Corinna Stelea. Con il cipiglio e rigore giuridico che le appartiene arriverà ad intendersi alla perfezione con Serena. Sarà sufficiente superare quelle prime e piccole diffidenze che accompagnano l’incontro con una persona che ancora non siamo riusciti a inquadrare nei suoi connotati.
«Sapete come si allena l’olfatto? È una cosa curiosa, lo si fa sfruttando il vero superpotere del cervello umano: la capacità di astrazione. Di immaginarti cose che non ci sono.»
Samantha Bruzzone, chimica, e Marco Malvaldi, chimico, sposati da due decenni, appassionati di gialli e delle parole, scrivono e firmano a quattro mani “Chi si ferma è perduto”, opera che conduce i lettori tra le maglie di una nuova ed eclettica protagonista. È il primo loro romanzo a quattro mani ma certamente non sarà l’ultimo. Giocano tra fiction e non fiction, tra letteratura e cinema, tra chimica e giallo. Anche la voce narrante prevalentemente è nella prima persona di Serena ma con intervalli alla terza nei capitoli su Corinna.
Non mancano acrobazie, digressioni, lati comici e paradossali ma anche riflessioni sottese. Perché la vita toglie e la vita offre, la vita fa cadere ma ti invita anche a rialzare. Non mancano le riflessioni sulla famiglia, il legame con i figli ed anche le pillole scientifiche che sanno anche fondersi con la cucina.
Il risultato è quello di un romanzo gradevole, non particolarmente impegnativo ma al tempo stesso curioso. Il lettore è trattenuto dalla verve ironica e pungente, dal giallo ma anche dalla conoscenza di questo nuovo volto delle opere del neo duo.
«Ecco, in quel momento avevo esattamente lo stesso problema. Avevo sentito quell’odore, forte e persistente, in un punto dove non doveva esserci? Sì. Significava quello che mi ero messa in testa? Boh. A quel punto lì, non lo sapevo più. Anzi, man mano che camminavo, me ne convincevo sempre meno.»
Maria Darida - 9 mesi fa
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Schiava della libertà
KAWEKA E LITA
Sono passati già tre anni da quando Falcones deliziò il suo pubblico in libreria con un’opera corposa e stratificata quale “Il Pittore di anime”. Uno scritto, questo, capace di trascinare il lettore tra colpi di scena e fatti storici realmente accaduti che difficilmente deludono le aspettative e che anzi sono capaci di trattenere con il fiato sospeso. Ma Falcones non si ferma e in questo 2022 torna in libreria con un altro romanzo storico intrigante e interessante. Questa volta l’autore si sposta e ci riporta in un continente diverso e in un’epoca ancora più diversa e remota. È infatti Cuba il luogo di destinazione di quella nave carica di anime e volti in quel 1856. Quando la nave attracca presenta a bordo un carico non fatto di merci quanto di donne e bambini considerati tali. Il peggio sembra essere ormai finito dopo un viaggio estenuante e fatto di stenti, pensano, ma si sbagliano di grosso e ben presto lo scopriranno e a caro prezzo.
«Lei stessa capì che quel momento non si sarebbe affatto concluso con il dolore delle frustate: comportava anche il superamento di una tappa nella vita di una ragazzina innocente che come tutte loro era capace di sorridere di fronte alle disgrazie, di giocare nello stesso posto dove poco prima un nero era crollato esausto. Mamma Ambrosia si era presa cura di Kaweka cercando di fare per lei ciò che facevano le altre madri con le proprie figlie.»
Madri anno 2007. Maria Regla Blasco, Reglita da bambina e ora Lita, è una giovane donna finita a lavorare per la banca Santadoma per avere un’entrata stabile per sé ma anche per la madre sempre più prossima alla pensione. Tuttavia, ella ama l’arte, la cultura, le lettere, è specializzata in queste e mai avrebbe pensato di far altro. La madre, a sua volta, è domestica sempre i Santadoma ed è tramite la conoscenza diretta che anche la figlia può “usufruire” dei benefici lavorativi di cui diventa destinataria ma anche debitrice.
Tornando indietro nei secoli conosciamo anche Kaweka che con la sorellina poi morta fa parte di quel carico scaricato sulle spiagge cubane. Ad attendere Kaweka ci sono anni di privazioni, umiliazioni, violenze fisiche e psicologiche, soprusi. Ha difficoltà ad ambientarsi, sente il peso di questo mondo a lei sconosciuto di cui non conosce la lingua ma nemmeno gli usi e le consuetudini, subito si ferisce nelle piantagioni di canna da zucchero, subito viene comprata e sempre in tempi rapidi scopre e realizza di avere un legame con le divinità. Queste prendono possesso di lei che ha anche doti e capacità curative, sfidano l’uomo bianco per mezzo del loro possedere. Il corpo della donna è punito per l’impudenza, non mancano le frustate, non mancano le punizioni e le violenze da parte di chi pensa di poterla possedere. Ciò la rende una diversa agli occhi degli stessi schiavi con cui divide i luoghi e i tempi dello scandirsi della sua vita.
Torniamo al presente più prossimo e osserviamo come per Lita sia difficile accettare che la madre continui ad essere trattata come l’ultima ruota del carro ma anche come per lei sia difficile vivere in quel contesto sociale fatto di coordinate che non le appartengono. Tra Lita e Kaweka esiste, inoltre, un legame. Sarà un viaggio a Cuba a portare Lita a riscoprire della sua storia e dei segreti della sua famiglia. Segreti che la riporteranno indietro e le faranno riscoprire anche se stessa.
«Lita danzò, trascinata da una forza incontrollabile, alternando, come la giovane che l’aveva preceduta, un ritmo frenetico a movenze più delicate. Sentiva il mare vicino a sé e le onde lambivano il suo spirito, ma, a differenza dell’altra ballerina, Lita cantava… E lo faceva con una voce che non era la sua…»
Pagina dopo pagina Falcones ricostruisce un puzzle fatto di mille sfaccettature e mille volti. È un romanzo solido e stratificato “Schiava della libertà”, un romanzo ricco di temi e riflessioni sottese. Al contempo gli stessi personaggi sono vividi e ben caratterizzati, il lettore li percepisce quali realistici e non fatica a farne proprie le aspettative, le paure, le ingiustizie, i desideri. Ad avvalorare il tutto vi è uno stile narrativo curato, minuzioso, arricchito da ricerche e ricostruzioni storiche. Un libro che sa far riflettere sul concetto di libertà, un qualcosa che oggi tendiamo a dare troppo spesso per dovuto e/o per scontato quando in realtà non lo è ed è frutto di lotte, ribellioni, sacrifici, contestazioni e tanto altro ancora da parte di chi, in passato, è dovuto sottostare alle angherie dei più forti per essere nato nella condizione sociale “sbagliata” o nel paese “sbagliato”.
Maria Darida - 9 mesi fa
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Una storia semplice - Leonardo Sciascia
«E poi la gran trovata di mettere il punto dopo “ho trovato”: “ho trovato che la vita non vale la pena di essere vissuta”, “ho trovato”, “ho trovato”: il tutto e il niente»
Una storia semplice, o forse una storia affatto semplice. Una storia semplice perché specchio di una realtà che ci appartiene e che è diventata fin troppo quotidianità comune, una storia semplice che semplice non è perché narra di un giallo intricato che, se vogliamo, non trova nemmeno davvero soluzione. Una storia semplice che viene narrata da un narratore mai semplice e sempre molto molto particolare e minuzioso nel suo scrivere. Uno scrittore che sa rendere apparentemente semplice un fatto affatto tale.
Sciascia scrive questo breve scritto nel 1989, ci trasporta in una realtà con molte criticità e nello specifico in un ambiente poliziesco, una caserma, che riceve una chiamata da parte di un diplomatico assente da molto tempo nella cittadina. Rientrato nella tenuta ha trovato qualcosa e chiede l’intervento della polizia. Il commissario declina e prende alla leggera la richiesta considerandola quale quella di un mitomane che quasi si sia dedicato a fare uno scherzo alle autorità e invita il brigadiere a farvi una capatina il giorno successivo. Sarà proprio in queste circostanze che il brigadiere scoprirà quello che è il corpo di un uomo senza vita e quella frase “ho trovato” seguita da un punto fermo. Da qui i sospetti. All’inizio ci sarà chi punterà sull’ipotesi di un suicidio mentre costui sin da subito su un omicidio. Tanti i dubbi e le nefandezze che si celano dietro “una trama semplice” che finisce con il concludersi con un “finale aperto”. In perfetto parallelismo e binomio in stile Sciascia.
Lo stile è asciutto, la trama non scontata, la vicenda appassionante. Al contempo vi è amarezza e malinconia, tra queste pagine. Sembra che la conditio sine qua non quella sia e quella resti in ogni caso voluto o fortuito del nostro vivere, quasi come se quel malessere fosse radicato nella nostra società senza possibilità d’appello. Emblematico l’incipit di partenza nonché la citazione che ne apre le pagine.
«Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia.» Durrematt, Giustizia
Ultimo suo scritto, forse, ma certamente da non dimenticare nonostante l’asciutezza del medesimo. Un gioco di specchi e intrecci che non delude le aspettative e invita alla riflessione il lettore.
«L’atavico istinto contadino a diffidare, a vigilare, a sospettare, a prevedere il peggio e a riconoscerlo gli si era risvegliato fino al parossismo.»
Maria Darida - 9 mesi fa
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L'isola delle anime - Johanna Holmström
«E poi la gran trovata di mettere il punto dopo “ho trovato”: “ho trovato che la vita non vale la pena di essere vissuta”, “ho trovato”, “ho trovato”: il tutto e il niente»
Una storia semplice, o forse una storia affatto semplice. Una storia semplice perché specchio di una realtà che ci appartiene e che è diventata fin troppo quotidianità comune, una storia semplice che semplice non è perché narra di un giallo intricato che, se vogliamo, non trova nemmeno davvero soluzione. Una storia semplice che viene narrata da un narratore mai semplice e sempre molto molto particolare e minuzioso nel suo scrivere. Uno scrittore che sa rendere apparentemente semplice un fatto affatto tale.
Sciascia scrive questo breve scritto nel 1989, ci trasporta in una realtà con molte criticità e nello specifico in un ambiente poliziesco, una caserma, che riceve una chiamata da parte di un diplomatico assente da molto tempo nella cittadina. Rientrato nella tenuta ha trovato qualcosa e chiede l’intervento della polizia. Il commissario declina e prende alla leggera la richiesta considerandola quale quella di un mitomane che quasi si sia dedicato a fare uno scherzo alle autorità e invita il brigadiere a farvi una capatina il giorno successivo. Sarà proprio in queste circostanze che il brigadiere scoprirà quello che è il corpo di un uomo senza vita e quella frase “ho trovato” seguita da un punto fermo. Da qui i sospetti. All’inizio ci sarà chi punterà sull’ipotesi di un suicidio mentre costui sin da subito su un omicidio. Tanti i dubbi e le nefandezze che si celano dietro “una trama semplice” che finisce con il concludersi con un “finale aperto”. In perfetto parallelismo e binomio in stile Sciascia.
Lo stile è asciutto, la trama non scontata, la vicenda appassionante. Al contempo vi è amarezza e malinconia, tra queste pagine. Sembra che la conditio sine qua non quella sia e quella resti in ogni caso voluto o fortuito del nostro vivere, quasi come se quel malessere fosse radicato nella nostra società senza possibilità d’appello. Emblematico l’incipit di partenza nonché la citazione che ne apre le pagine.
«Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia.» Durrematt, Giustizia
Ultimo suo scritto, forse, ma certamente da non dimenticare nonostante l’asciutezza del medesimo. Un gioco di specchi e intrecci che non delude le aspettative e invita alla riflessione il lettore.
«L’atavico istinto contadino a diffidare, a vigilare, a sospettare, a prevedere il peggio e a riconoscerlo gli si era risvegliato fino al parossismo.»
Maria Darida - 9 mesi fa
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