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Asfodeli e avvertimenti - Antonio Morelli
« Ho un piede
Aprendo questa quinta raccolta di Antonio Morelli veniamo subito accolti e accompagnati nella discoperta della più profonda intimità del poeta dai versi di “Quiete inodore”, una composizione che sin dalle prime battute ci riporta a tutto il modo di essere e di relazionarsi con il mondo di un uomo che ha plasmato la sua sofferenza in vita in versi e parole di grande entità da lasciare ai posteri.
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Amok - Carlo Lucarelli, Massimo Picozzi
Dopo quindici anni dall’uscita di “Serial Killer” classe 2003 (a cui sono seguiti altri testi ma attinenti ad oggetti diversi o variegati quali “Scena del crimine”, 2005, o “Tracce criminali”, 2006, per citarne un paio), dove venivano raccontati di assassini e vittime, di omicidi e indagini, della follia e della scelta criminale, tornano in libreria Massimo Piccozzi e Carlo Lucarelli con un nuovo appassionante volume concentrato su un nuovo fenomeno sempre più diffuso e questo perché le cose sembrano cambiate e in tutto il mondo: i mostri del crimine non sono più gli assassini seriali quanto i cd. “rampage killers” ovvero individui capaci di compiere una strage in preda alla furia omicida. Ma partiamo con ordine. Primariamente è bene precisare che in criminologia e in psichiatria clinica criminale per “Amok”, termine derivante dal malese mengamok, si intende una carica furiosa e disperata che prende campo nel folle omicida che al momento di compiere l’assassinio non ha consapevolezza e responsabilità; “la colpa era cioè insita interamente nel demone tigre, nello spirito del male chiamato hantu belian che si era impadronito del corpo e della mente del killer costringendolo a colpire e correre, correre e colpire”. I primi episodi di Amok furono originariamente osservati da James Cook intorno al 1770 quando il medesimo descrisse il caso di giovani uomini che all’improvviso e senza ragione apparente alcuna, iniziavano a correre e a gridare “Amok! Amok! Amok!” tentando di uccidere chiunque capitasse a tiro.
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L'idiota - Elif Batuman
Selin è una studentessa diciottenne di origini turche. È il 1995, è appena arrivata ad Harvard e per lei, come per tutti i suoi colleghi di studio, il mondo digitale è un qualcosa di sconosciuto. Le mail, anzi le e-mail con la e marcata, sono un qualcosa di completamente nuovo tanto che riceverne una preimpostata al suo arrivo in facoltà la destabilizza. Una prima novità, questa, a cui si sommano codici e rigidi schemi universitari a cui è chiamata a conformarsi. Il suo modo di approntarsi alla vita che le scorre accanto è quello dettato dall’osservazione mediante una lente di ingrandimento, una lente di ingrandimento totalmente improntata su quella che è la letteratura tanto che per cercare di tradurre tutti questi nuovi elementi che riscontra, si iscrive a cinque corsi tra loro diversi tra cui linguistica, filosofia del linguaggio, russo, “mondi costruiti” (dove le mail, anzi e-mail, verranno per utilizzate nel concreto). Viene però esclusa dalla possibilità di suonare il suo violino nell’orchestra del college, circostanza, questa, che la demoralizza, la disincanta. Il suo sogno, ancora, è scrivere e diventare una scrittrice.
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Il commissario Bordelli - Marco Vichi
Primo capitolo delle avventure del fortunato commissario Franco Bordelli, “Il commissario Bordelli” è ambientato nella mia Firenze ma del 1963. È estate e il caldo non concede tregua alcuna. Una ricca signora è deceduta inspiegabilmente nel letto apparentemente colpita da un attacco di asma, il ritrovamento avviene grazie alla segnalazione della dama di compagnia Maria che dopo aver provato ripetutamente a chiamarla non ricevendo risposta, si allarma. I principali sospettati sono i nipoti, due uomini e le rispettive consorti che però, al momento della dipartita si trovano nella residenza versiliana per una serata mondana. Il loro alibi sembra essere inoppugnabile così come la morte per cause naturali dell’anziana. Peccato che dopo un breve esame del medico legale, appaia chiaro e inequivocabile che in realtà essa sia stata assassinata. Affiancato dal giovane neoarrivato Piras, Bordelli darà inizio alle indagini e condurrà per mano il lettore sino all’epilogo solleticandolo con le sue idee e molteplici curiosità.
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Fate il vostro gioco - Antonio Manzini
Dopo “L’anello mancante. Cinque indagini romane per Rocco Schiavone”, Antonio Manzini fa ritorno in libreria con “Fate il vostro gioco”, giallo che ci propone una nuova avventura del personaggio più famoso nato dalla sua penna e immaginazione; Rocco Schiavone.
«Pensavo che siamo come i serpenti. Ci lasciamo dietro la vecchia pelle perché abbiamo bisogno di quella nuova. Ma la vecchia pelle c’è stata. È un fatto, senza la vecchia pelle quella nuova non c’è» p. 378 «Che tu puoi essere qui e altrove, sei sempre tu e io sono sempre io. Tempo, spazio, non importa, Rocco. Quello che conta è che siamo qui. La differenza? A me certe cose non interessano più, a te sì. Ma il motiov lo conosci.» p. 380 «Lei sa come far credere che qualcosa sia vera? È semplice. Si dicono un sacco di verità comprovate e in mezzo, come un’insalata, si butta una cazzata che la gente prenderà per buona.» p. 388 Maria Darida - 4 anni fa |
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Storia di una balena bianca - Luis Sepùlveda
Il suo nome è Mocha Dick, è un capodoglio nato nelle acque fredde che circondano un’isola detta dagli uomini Mocha, il suo corpo splende dei colori della luna e si erge con tutta la sua forza maestosa nei ventisei metri che lo compongono. Egli è l’erede della forza e della resistenza di tutti i maschi del gruppo, è un capodoglio il cui mondo è fatto di silenzio perché "nessuna creatura si lamenta, grida, grugnisce o strilla sotto la superficie e solo noi giganti rompiamo a volte la quiete”. Abita nel mare delimitato dalla terra dove spunta il chiarore del giorno e dall’orizzonte in cui il sole si immerge per far posto alle stelle. Qui l’acqua è fredda, è attraversata dalle correnti gelide che arrivano da lontani confini dove tutto è bianco e dove il mare si trasforma in roccia color sale che cresce quando le notti sono molto lunghe e cala quando i giorni sembrano non avere fine; qui la sua missione ha luogo perché nell’implacabilità che è dell’uomo Mocha Dick ha conosciuto la popolazione dei lafkenche, della Gente del Mare, una popolazione che prende dalla riva soltanto il necessario per vivere e che ringrazia la generosità del mare celebrandolo con un rito antichissimo, una popolazione che prende dai boschi soltanto dopo aver ricevuto il permesso, una popolazione che con un rito particolarissimo celebra i defunti. Perché quando un lafkenche muore il suo corpo viene portato, alla sera, sulla riva del mare onde poter essere accompagnato da una delle quattro balene vecchie, una trempulkawe, sull’isola mgill chenmaywe, il luogo dove ci si riunisce prima del grande viaggio. Quaggiù il defunto si spoglia del suo corpo mortale fatto di carne e ossa per diventare leggero come l’aria per restare in attesa, insieme agli altri della sua stirpe che lo hanno preceduto nella morte, di questo. E in questa traversata Mocha dovrà dare prova di tutto il suo coraggio e di tutta la sua forza. Il suo compito, la sua missione è quella di proteggere dalla furia, dall’avidità e dalla cattiveria umana le quattro balene anziane anche se questo significherà non avere scrupoli, significherà essere considerato la maledizione dei balenieri, significherà essere l’implacabile giustizia del mare, significherà essere la forza di chi non ha più niente da perdere. «Gli uomini vengono da molto lontano e nulla frena la loro cupidigia, nemmeno la morte. Vengono da regioni che non abbiamo mai visto né mai vedremo, perché attraversano un oceano grande come questo per raggiungere lo stretto chiamato da loro Capo Horn, che ha le rive piene di relitti, di silenziosi resti di naufragi, a testimonianza dell’audacia degli uomini, che non desistono mai» Correva il 20 novembre 1820 quando nelle acque dell’Oceano Pacifico, lungo la costa del Cile, davanti all’isola di Mocha, un grande capodoglio bianco attaccò e affondò la baleniera Essex salpata dal porto di Nantucket, nell’Atlantico settentrionale, quindici mesi prima. Pare che l’attacco abbia trovato ragione nell’uccisione di una femmina di balena e il suo piccolo da parte dei ramponieri. E si narra ancora che molte navi furono necessarie per catturare il grande capodoglio del colore della luna soprannominato Mocha Dick con i suoi ventisei metri e oltre cento arpioni conficcati nel corpo. E si racconta ancora che nelle notti di luna piena dagli abissi, dalla costa occidentale della disabitata isola di Mocha, si veda emergere un grande capodoglio bianco il cui colore brilla nella notte più profonda.
ps. nota bene, è da questa leggenda che trae origine il celebre Moby Dick. Buona lettura! Maria Darida - 3 anni fa |
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Ribelli in fuga - Tommaso Percivale
Questo libro parla della vita di giovani scout al tempo del Fascismo. Con una serie di leggi varate da Mussolini i ragazzi dovranno abbandonare la loro vita scout e diventare balilla. Non tutti però prenderanno la tessera del Partito Fascista; anche se sanno benissimo che questo comporterà dei problemi. Così un giorno Ines, Gianni e Andrea (che non si erano iscritti) decidono di andare a vivere su una vecchia casa di montagna. Ines veniva da una famiglia di contadini, che l'avevano obbligata a iscriversi a gli eventi fascisti, anche se non partecipò mai ai sabati fascista. Nel momento in cui decide di abbandonare la sua casa non vuole avvertire la famiglia perciò lascia loro una lettera dove spiega le sue motivazioni; ma viene scoperta da sua sorella minore Etta mentre stava preparando le cose da portare via così non avendo altra scelta porterà anche lei nel rifugio segreto. Nel Bric Polenta (nome del rifugio segreto ) tutto procedeva per il meglio; almeno fin quando la piccola Etta si ammala ed è costretta a ritornare dai suoi genitori Benedetta Moschini - 3 anni fa |
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Rien ne va plus - Antonio Manzini
Abbiamo lasciato Rocco Schiavone alle prese con un delitto irrisolto, o almeno parzialmente risolto, ovvero quello di Romano Favre, sessantacinquenne ragioniere in pensione e ex ispettore di gioco presso il casinò Saint-Vincent, ritrovato in “Fate il vostro gioco” privo di vita all’interno della sua abitazione a seguito di due coltellate letali (una prima al fegato e una seconda alla giugulare) e con in mano una fiche di un altro casinò. Il Vicequestore e la sua squadra, odorato che qualcosa nella ricostruzione dei fatti non tornava, si erano messi subito al lavoro riuscendo a scoprire una pista di denaro riciclato nonché individuando l’assassino. Eppure, nonostante questo buon risultato il caso non poteva (e non può) definirsi concluso e archiviato. Troppe ancora erano – e sono – le questioni irrisolte a cui gli agenti dovevano dare una risposta e individuare un colpevole. È da questi brevi assunti che ha inizio “Rien ne va plus” nuovo episodio di uno dei funzionari di polizia più eclettici e amati dal grande pubblico negli ultimi anni che si troverà a dover non solo risolvere l’indagine inconclusa ma anche ad indagare sulla misteriosa scomparsa di un furgone portavalori con un carico di due milioni e ottocentomila euro circa, “rubato”, probabilmente, da una delle due guardie giurate a bordo. Che le due indagini siano in realtà collegate? Rocco, quella puzza, la sente e pure forte. Ed ancora, chi è il mandante dell’omicidio del ragioniere Favre? Quale ruolo ha la sua morte in quello che è un disegno chiaramente più grande? Al contempo, il romano esiliato ad Aosta dovrà stare all’erta anche su quel che accade a Roma perché pare che Baiocchi abbia “cantato sul fratello indicando perfino alla polizia il luogo dove sta il cadavere”.
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Facciamo che ero morta - Jen Beagin
“Facciamo che ero morta”, si ripete Mona. Un gioco di quando era bambina, un modo per far sentire Mickey un padre decente per qualche minuto, un modo per non pensare alla sua vita e a quell’infanzia e adolescenza da cui lei non è uscita integra. Ventiquattro anni, donna delle pulizie e con un passato duro e crudo alle spalle, Mona, ogni martedì sera presta servizio di volontariato distribuendo kit di siringhe pulite ai tossici. «Tra le persone che conosceva, aveva più cose in comune con i tossici che con chiunque altro. Come lei, erano invisibili al resto della società – loro in quanto tossici, lei in quanto colf – e, come lei, mangiavano praticamente qualsiasi cosa fosse coperta di glassa. Tra loro non c’erano buoni samaritani, esibizionisti o tipi alla Save the Children. Fumavano come turchi e mangiavano nachos e hot dog comprati al 7-Eleven, tutte cose che lei apprezzava» Ed è durante uno di questi turni che lo vede: Mister Laido. Per i primi mesi di quel gioco di osservazione per lei, lui non era stato altro che un numero dall’epilogo già scritto, “un pellicano impantanato nel petrolio, sfinito e in condiscendente attesa della sua stessa disfatta”, poi, un libro dal titolo “La vita di Art Pepper” stabilisce il contatto e dal contatto nasce una relazione la cui sorte è inevitabile ma a cui, eppure, è impossibile sottrarsi.
«Tu non sei una lotofaga, Mona, – disse Nigel con pazienza. – Non più. Sei risalita a bordo e stai tornando a casa. È giunta l’ora di gir battendo co’ pareggiati remi il mar canuto. Rema con tutte le tue forze e non guardarti indietro» Leggendo di Mona molteplici sono le sensazioni di dejà vu con “Eleanor Oliphant sta benissimo” di Gail Honeyman. Le due eroine, infatti, sono vicine proprio per il modo di porsi rispetto al mondo fuori e alla dimensione esterna a quella del proprio io a causa di traumi che le hanno segnate nell’età dello sviluppo, tuttavia, man mano che l’opera prosegue nel suo scorrimento, vediamo che in realtà questa apparente comunanza di romanzi, finisce con l’imbarcarsi su rette parallele che sono destinate a non incontrarsi mai e che forse mai si sono incontrate se non per qualche gioco della nostra mente. La differenza tra i due scritti risiede proprio nel contenuto, perché se Eleanor passa dalla solitudine all’amicizia, dal disturbo psichico alla terapia per la guarigione, alla speranza per un futuro diverso fatto di possibilità e di un principio, a un domani che diventa possibile, Mona è talmente contrita nella sua psiche e nel suo passato così poco lineare e affrontato, che si limita semplicemente a tentare di mutare la propria condizione andandosene in un’altra città ma senza davvero provare a cambiare la sua esistenza. Conosce persone, conosce situazioni e realtà paradossali sin dalla prima pagina, ma le manca quel qualcosa per riuscire. Lo dimostra il fatto che nonostante la sua giovane età mai pensi ad un’alternativa concreta al suo lavoro. Ama scattarsi foto in pose assurde e talvolta inquietanti, ha un rapporto provato con il suo corpo, potrebbe essere tutto, ma resta sempre lì. Ferma, immobile. Solo nell’epilogo e nelle telefonate a quel padre che fa accapponare la pelle, si può ipotizzare un presunto baluardo di speranza.
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Leone - Paola Mastrocola
Un libro che non arriva fino in fondo. Le parti dove descirve i sentimenti del bambino sono molto belle, ma per il resto manca di sostanza. Non vedo neanche la magia che ci dovrebbe essere.
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