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La strada per Los Angeles - John Fante
È destinato a dividere i lettori in due schiere contrapposte, questo romanzo di John Fante, il primo del ciclo di Arturo Bandini ad essere scritto e l’ultimo a vedere la luce (fu pubblicato, postumo, nel 1985). Chi lo detesterà avrà molti argomenti a sostegno della sua tesi. L’Arturo qui ritratto, nel secondo capitolo della saga, è un perdigiorno incallito; è uno che passa da un lavoro all’altro senza sosta; è un ladruncolo; è un fanfarone che parla di Nietzsche e Schopenhauer con gente incolta e che si arrabbia quando i suoi interlocutori – semianalfabeti - non lo comprendono; è un onanista; è un ateo che non perde occasione di farsi beffe di tutto ciò che è cattolicesimo (da cui lo scontro costante con la madre e la sorella, che alla fine deruba); è una sorta di rivoluzionario che si dichiara comunista pur senza esserlo; è un violento; è un maschilista; è un autolesionista ai limiti del masochismo; è un razzista e chi più ne ha più ne metta. Ha tutti i difetti del mondo, Arturo Bandini. E questo già basterebbe per respingere tutti quei lettori che, nei libri che leggono, cercano – legittimamente - un protagonista in cui identificarsi. In più, il romanzo è scritto sotto forma di incessante flusso di coscienza e i pensieri al limite della follia di Arturo viaggiano in direzioni spesso imprevedibili, qualche volta davvero scioccanti. Chi invece lo amerà (e tra questi ci sono io), apprezzerà la straordinaria capacità di Fante di creare letteratura dal nulla. Basta il frego di un fiammifero su un muro, l’aria salmastra del porto, la vetrina di un negozio, la nebbia, qualsiasi cosa è fonte di ispirazione e consente a Fante di scrivere versi di una bellezza unica. Qualsiasi cosa prende vita, si anima, quando è trattata dalla sua penna. E poi non è vero che il romanzo non ha una trama. È, invece, la storia lucida e coerente di un giovane “ribelle con una causa”, colto esattamente nel momento in cui comprende il motivo per cui tutto quello che lo circonda gli provoca rabbia, frustrazione, senso di impotenza: il momento in cui capisce di essere uno scrittore. E, una volta compresa la sua reale aspirazione – e il suo talento - non si accontenterà di diventare uno scrittore qualunque, vorrà diventare il migliore. È un romanzo modernissimo, questo, perfino un metaromanzo in certi passaggi (come quello in cui Fante descrive - magnificamente - il processo di creazione del primo manoscritto di Arturo, con protagonista Arthur Banning. Romanzo fittizio, le cui prime esilaranti pagine sono trascritte fedelmente) che non raggiunge i livelli poetici di Chiedi alla polvere ma che è narrativamente superiore a un’infinità di libri di una banalità stordente che vengono pubblicati oggigiorno. Non sorprende il fatto che per quasi quaranta anni nessun editore abbia avuto il coraggio di pubblicarlo. Marco Ciampolini - 9 mesi fa |
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Chiedi alla polvere - John Fante
Cattura fino dall’incipit, questo straordinario romanzo di John Fante del 1939, il terzo del ciclo di Arturo Bandini, ma il secondo a essere pubblicato (La strada per Los Angeles fu rifiutato da tutti gli editori e fu pubblicato solo nel 1985). L’ironia amara delle prime righe e l’eccezionale descrizione emotiva della passeggiata lungo la Olive Street (in cui “le orrende casupole di legno trasudavano storie di omicidio”) fino al tuttora esistente Biltmore Hotel (con le file dei taxi in attesa dei ricchi clienti e le donne, bellissime ed eleganti, che escono dalla porta d’ingresso) mettono subito in chiaro al lettore che quello che sta per leggere è un romanzo che non dimenticherà. È vero, il testo è crudo (comunque molto meno di Aspetta primavera, Bandini e di La strada per Los Angeles, incredibilmente audaci per i tempi in cui furono scritti). È politicamente scorretto. È dedicato a quelle zone di Los Angeles povere, piene di insetti e polverose che erano Bunker Hill e i suoi dintorni, non certo a quelle ricche di Hollywood e Bel Air. Ed è altresì vero che il suo protagonista, Arturo Bandini (ma anche Camilla, Vera, Sammy, Hellfrick e molti altri personaggi) si comportano in un modo spesso detestabile. Tuttavia, proprio in questo risiede la forza del romanzo, nel riuscire a far appassionare il lettore alle vicende di uomini e donne traboccanti umanità. Arturo, in particolare, è carne e sangue: è pieno di difetti (è maleducato, razzista e spendaccione; è un cattolico imbottito di condizionamenti religiosi e, a tratti, si comporta come un misogino) ma anche di pregi (è generoso, romantico e, a modo suo, è capace di amare con gentilezza). Ma, soprattutto, l’incarnazione di Arturo proposta da questo romanzo (diversa da quelle precedenti) crede nella sua arte e spende la sua intera esistenza nell’inseguimento di un sogno: diventare uno scrittore di successo. Per raggiungere questo obiettivo si trasferisce dal Colorado, dove vive con la famiglia di origine italiana, a Los Angeles. Lo fa perché va cercando l’ispirazione o meglio, perché vuole vivere una vita che sia talmente ricca di esperienze e fatti e personaggi interessanti da poterla trasferire su carta e trasformarla in un grande romanzo. Per questo Arturo non è un uomo d’azione e appare spesso passivo: perché osserva, direi registra, ogni vicenda, con l’occhio di chi sa che poi elaborerà quella vicenda, fino a trasformarla in materia narrativa. Ogni pagina di questo libro (ancora oggi attualissimo, sia per i temi trattati sia per lo stile narrativo) è stupenda, e il romanzo è pieno zeppo di momenti memorabili: il bagno nelle acque dell’oceano (le cui onde sembrano in grado di bagnare persino il lettore, tanto le descrizioni di Fante sono potenti); l’immagine vivida di Camilla che esce dall’acqua; la scena dell’amore con Vera o, sempre con Vera, il momento in cui lei mostra ad Arturo le sue cicatrici; il terremoto vissuto a Long Beach (in cui il cattolico Arturo arriva a giudicare l’evento sismico una punizione di Dio per il suo peccato); le scene del fumo della marijuana con Camilla. Ma ci sono tantissimi altri momenti da ricordare, oltre a questi. La storia di amore e odio con Camilla è una delle più originali che mi sia mai capitato di leggere, così come originali sono i dialoghi di Arturo con la stessa Camilla. Fante sa dosare crudezza e poesia con una abilità che è solo dei grandi e in questo romanzo, per la prima volta, la trama è davvero coerente e potente (Aspetta la primavera, Bandini scritto in terza persona, è più una raccolta di straordinari racconti sull’adolescenza di Arturo, vissuta nella miseria più nera, oltre che un grande omaggio alla professione del padre, mentre La strada per Los Angeles è un formidabile esercizio narrazione a briglia sciolta). Non voglio aggiungere altri commenti che non siano un invito esplicito a leggere e rileggere questo romanzo (e anche gli altri del ciclo). Una doverosa avvertenza: leggete il prologo, scritto da John Fante, solo dopo aver letto il libro. Si tratta, infatti, di un racconto autonomo, che ha il pregio di spiegare l’origine del titolo, ma che ha il notevole difetto di riassumere il contenuto del romanzo e di anticiparne il finale. Concludendo: chiedete alla polvere della strada se questo romanzo è un capolavoro e lei vi risponderà che sì, lo è, senza ombra di dubbio. Marco Ciampolini - 9 mesi fa |
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Il sole si spegne - Osamu Dazai
Credo che per comprendere al meglio questo libro ci sia bisogno di conoscere prima il contesto storico della sua ambientazione. Il Giappone di fine seconda guerra mondiale non ha niente a che vedere con quello che conosciamo adesso e lo stesso vale per i giapponesi. Se dovessi descrivere la storia con una sola parola direi decadenza, se dovessi descrivere cosa mi è rimasto dopo la lettura direi tristezza. Dalle pagine traspira chiaramente che per il suo scrittore non c'è più nulla per cui vale la pena di continuare a combattere, è meglio arrendersi alle circostanze e alla morte. Sicuramente non è la lettura che più vi consiglierei se state affrontando un brutto periodo... Valentina Pifferati - 9 mesi fa |
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La primavera perfetta - Enrico Brizzi
Enrico Brizzi non ammetterà mai, nemmeno sotto tortura, che il Luca Fanti protagonista del suo ultimo romanzo altri non sia che l’Alex del suo "Jack Frusciante è uscito dal gruppo", invecchiato di 27 anni e ammaccato dalla vita. Troppe cose coincidono: l’origine bolognese, la famiglia di appartenenza (composta, in "Jack Frusciante", dal Cancelliere, dalla Mutter e dal Frère de lait; dal Capotreno, da Sandra e da Olli ne "La primavera perfetta"). Ci sarebbero anche il rock, il suicidio di un amico e tante altre storie, ma voglio fermarmi qui. Ciò che conta è che Brizzi scrive di nuovo un bellissimo romanzo, maturo, molto più classico nelle forme rispetto all’opera di esordio (non troverete, qui, quel fraseggio gergale e ricercato che caratterizzava l’opera prima, ma questo è diretta conseguenza del fatto che Brizzi è ormai autore affermato e sicuro dei propri mezzi, che non ha più bisogno di mostrare le sue funamboliche capacità letterarie e di stupire). Un romanzo peraltro lungo, ma assai scorrevole, triste a tratti ma mai deprimente. Un romanzo che parla principalmente del complicato rapporto che si instaura tra due fratelli maschi, ma anche di quelli non meno conflittuali tra padri e figli (Luca è contemporaneamente figlio, ma anche padre di un ragazzo e di una ragazza), tra mogli e mariti e tra vecchi amici. E non è finita qui: un posto di rilievo nella storia lo occupano sia il ciclismo, grande passione di Brizzi, sia la vita in una grande città come Milano, assai complicata per chi viene da una realtà più a misura d’uomo come quella di Bologna. Io l’ho trovato davvero appassionante, a tratti avvincente, spesso commovente. E poi c’è Luca, un grande personaggio: un antieroe che sbaglia tutto quello che un uomo può sbagliare ma che, alla fine, riesce a redimersi, grazie all’aiuto dei suoi amici, di un uomo d’altri tempi (Brenno) e di un fratello campione con cui ha un rapporto di amore-odio. Consiglio fortemente la lettura di questo romanzo, in particolar modo a chi ama le storie in cui i sentimenti giocano un ruolo fondamentale. Marco Ciampolini - 9 mesi fa |
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La salita dei saponari - Cristina Cassar Scalia
Imitazione mal riuscita di Camilleri nell'uso del dialetto. Racconto piuttosto confuso e personaggi con scarso approfondimento psicologico. Finale da dimenticare. Giancarlo Mattei - 9 mesi fa |
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Resto qui - Marco Balzano
Mi sono imbattuta in questo libro poche settimane dopo aver visitato il lago di Resia e mi è sembrato naturale leggerne la storia. Mentre mi trovavo davanti al campanile sommerso, circondata da decine di persone che scattavano foto ricordo incuriositi e stupiti di trovare una costruzione far capolino dall'acqua, riuscivo a provare solo inquietudine. Pensare che sotto l'acqua della diga c'era un paese, con le sue persone, animali, mestieri, alberi ed edifici mi ha lasciato triste e con l'amaro in bocca. Gli stessi sentimenti li ho ritrovati tra le pagine di questo romanzo, bello e profondo da togliere il fiato. Tramite la vita travagliata di Trina ci fa scopriamo il passato recente di Curon, dell'Alto Adige e dell'Italia. Toccante come pochi, senza dubbio una delle migliori letture mai fatte in assoluto. Valentina Pifferati - 9 mesi fa |
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Tu che sei di me la miglior parte - Enrico Brizzi
Titolo shakespeariano per questo lungo romanzo di Enrico Brizzi. L’autore sceglie di giocare in casa, torna nell’amata Bologna e racconta l’infanzia e l’adolescenza di Tommaso. La storia inizia nel 1982, quando Tommy ha otto anni, e termina nel 1992. Lungo il percorso il ragazzo (che è anche il narratore) si legherà soprattutto a Ester (la ragazza amata) e a Raul (il suo peggior amico), iniziando un triangolo amoroso che si risolverà in un finale imprevedibile. L’elemento interessante del loro legame è che a tutti e tre manca, per diversi motivi, la figura paterna. Per loro, la strada per diventare uomini (e donne) si rivelerà lastricata di errori sanguinosi e cosparsa di lacrime. Come al solito, Brizzi scrive benissimo, ma il romanzo non è omogeneo. La prima parte è stupenda, almeno fino al terribile scherzo giocato a Pinzoglio che ho trovato eccessivo (anche perché sembra scritto dal Brizzi pulp di Bastogne, libro che non ho mai amato). La parte dedicata agli anni del liceo Caimani, poi, soffre il confronto col capolavoro Jack Frusciante. Alcuni dei protagonisti del libro d’esordio (Hoge, Alex, Martino, Adelaide) recitano in piccoli camei o vengono nominati solo di sfuggita, provocando comunque una certa emozione. Predominano qui, largamente, le pagine dedicate all’assunzione e allo spaccio di droga e ai riti della curva (iniziazione, agguati, torti subiti, vendette e discutibili codici d’onore). Il finale è invece bellissimo e, come detto, imprevedibile. In chiusura, non posso non lodare la bravura con cui Brizzi descrive tanti luoghi, più o meno noti, di Bologna, ma soprattutto il suo encomiabile lavoro di ricostruzione degli usi e costumi prevalenti negli anni in cui le vicende si svolgono. Abiti, calzature, pettinature, cibi, bevande, droghe assortite e soprattutto cinema, libri, canzoni e strumenti musicali diventano anch’essi protagonisti, rendendo ancor più autentiche e credibili le storie narrate. Un gradino sotto l’ultimo La primavera perfetta, ma comunque un romanzo da leggere Marco Ciampolini - 8 mesi fa |
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Usciti di Senna - Michel Bussi
Decisamente uno tra i thriller più avvincenti che abbia letto in quest'ultimo periodo. Durante l'edizione quinquennale dell'Armada di Rouen, un paesino lungo la Senna, si susseguono degli omicidi di marinai. Per risolvere l'enigma vediamo coinvolti Maline, una giovane giornalista e le forze dell'ordine guidate dal sempre più sfigato commissario Paturel. In un primo momento si sospetta di un delitto passionale, ma piano piano si aprono scenari sempre più intriganti con al centro un tesoro nascosto dai pirati. Non vi svelo altro, lascio alla vostra lettura il resto. Valentina Pifferati - 7 mesi fa |
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Tre - Valėrie Perrin
Tre amici, inseparabili durante gli anni della tarda infanzia e dell’adolescenza, progettano di andare a vivere a Parigi, dopo la maturità, per inseguire il loro sogno. Si perderanno, invece. Si ritroveranno solo trent’anni dopo, per scoprirsi cambiati, ammaccati dal tempo che è passato. Un libro sull’amicizia? Forse. Di certo il romanzo è un lungo viaggio - più di seicento pagine – attraverso l’infelicità umana. Leggiamo di malati di cancro che non vogliono curarsi perché stufi della vita; di madri e padri che abbandonano i figli lasciandoli crescere in famiglie sghembe; di adolescenti che si suicidano per amore; di aborti; di bambini imprigionati in un corpo che rifiutano e che, una volta diventati adulti, non hanno la forza di cambiare; di matrimoni falliti; di amori tossici; di incidenti stradali fatali; di maestri sadici che torturano gli allievi restando sostanzialmente impuniti e via dicendo. La prosa della Perrin è scarna, intrisa di realismo, raramente poetica, priva di lampi di speranza (a parte quella contenuta nelle ultime pagine in cui alcune cose, come per miracolo, o magari per la forza di una rinata amicizia, paiono aggiustarsi) e senza ironia. Verrebbe voglia di interrompere la lettura molto presto e sarebbe uno sbaglio perché, dopo quattrocento pagine, quando viene rivelato chi sia in realtà la misteriosa narratrice della storia, il testo diventa più coinvolgente. La sottotrama gialla, legata alla sparizione di Clotilde, trova la sua soluzione (prevedibile) proprio in quelle pagine. Due osservazioni, per concludere. La prima: se l’autrice avesse intitolato il romanzo “Quattro”, anziché “Tre”, avrebbe fatto una scelta più appropriata. Leggendo il libro, e non prima di pagina quattrocento, capirete perché. La seconda: il romanzo contiene in sé un altro romanzo, intitolato “Bianco di Spagna”, di cui si leggono degli estratti. Questo libro, scritto da Adrien, è forse più originale di quello che lo contiene. Di nuovo: leggendo il libro capirete perché. La lettura dei 92 brevi capitoli che costituiscono il romanzo è, nel complesso, piuttosto faticosa anche perché, nell’alternanza tra un capitolo e l’altro, l’autrice si diverte a viaggiare nel tempo tra il 2017 e il 1987, e poi ancora tra il 2018 e il 1994 e così via, rendendo il testo difficile da seguire. Una lettura molto impegnativa, quindi, sotto tutti i punti di vista. Marco Ciampolini - 7 mesi fa |
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Il matrimonio di mio fratello - Enrico Brizzi
Un romanzo bellissimo. Una “storia sbilenca, che un po' fa ridere e un po' mette paura” per dirla con le parole dell’autore. E che un po' commuove, aggiungo io. Primo tra i recenti romanzi dedicati all’infanzia, all’adolescenza, ai rapporti tra fratelli, a quelli tra genitori e figli e ai matrimoni che si spezzano, questo si distingue per le robuste dosi di ironia disseminate lungo le sue quasi cinquecento pagine. Pagine che scorrono veloci e non annoiano mai, anzi coinvolgono. Fanno riflettere e arrabbiare, anche. Fanno pensare a quanto la generazione dell’autore, che è anche quella di molti lettori, sia caduta in basso. Leggetelo, non ve ne pentirete. Una curiosità: tra gli ultimi romanzi di Brizzi, alcuni hanno come co-protagonista uno sport. Qui è l’alpinismo, in “Tu che sei di me la miglior parte” è il calcio, in “La primavera perfetta” è il ciclismo. Anche nel raccontare le imprese sportive, o le mancate imprese, Brizzi è un vero maestro. Chapeau. Marco Ciampolini - 7 mesi fa |
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