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Gorilla nella nebbia
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Fossey, Dian

Gorilla nella nebbia

Torino : Einaudi, stampa 1994

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Maria Darida
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Talvolta ci mettiamo tutta la vita a (capire e) deciderci a percorrere quella che è la nostra strada mentre altre volte è lo scopo che si immette nella nostra via con fare travolgente ed indissolubile tanto che è impossibile non riconoscerne i segni; sottrarsi a quello che è il proprio percorso sarebbe una auto-violenza psicologica e gratuita anche quando intraprenderlo necessita una buona dose di coraggio, sacrificio ed il rischio di un “salto nel vuoto”. Questo è un po’ quello che è capitato alla giovane Diane Fossey che all’età di soli 19 anni, nella consapevolezza che per realizzare i propri sogni doveva osare, ha contratto un debito triennale per potersi permettere un itinerario di sei settimane in Africa, luogo e prima tappa che l’avrebbe poi portata ad abbracciare quella che sarebbe stata una scelta di vita.
E se da un lato “Gorillas in the misti” è l’autobiografia della studiosa dall’altro ha un valore inestimabile tanto dal punto di vista zoologico che dell’intrattenimento perché una volta iniziata la lettura è impossibile staccarsi dal testo. E’ un viaggio di sola andata (da cui mai vorremmo fare ritorno) nella foresta vergine, nel mondo dei gorilla ma anche alla di scoperta di concetti di base sulla salvaguardia di una specie a rischio estinzione e per i quali la Fossey è sempre stata irremovibile (tanto da finire con l’essere oggetto di interminabili vessazioni), così come nelle meticolose procedure adottate – e nuovamente criticate – caratterizzate dalla praticità piuttosto che dall’applicazione di rigidi ed obsoleti protocolli. Stilisticamente parlando il componimento è scritto con grande intensità tanto da trasmettere empatia a chi legge che parola dopo parola, pagina dopo pagina si sente accanto a Diane nelle sue scoperte, nelle sue avventure e disavventure. E forse è proprio a causa della sua temerarietà, della sua caparbietà nel percorrere una strada che i potenti non simpatizzavano (la sua attività di difesa dei gorilla inevitabilmente andava contrastando quella dei bracconieri, degli allevatori e di chi nutriva interesse nel commercio/scambio di tali animali) che il 26 dicembre 1985, a colpi di panga nella su capanna, è stata brutalmente uccisa.
Ho ultimato di leggere questo romanzo oltre un mese fa ma ho sinceramente avuto difficoltà a staccarmene tanto che ho deciso di rileggerlo una seconda volta prima di recensirlo. Questa scelta è stata dettata da molteplici fattori; uno dei tanti è la passione, l’autenticità ed il rispetto che lo scritto suscita. Altro elemento che mi ha indotto ad una rilettura e che ha destato in me perplessità è il fatto che per potersi allietare con questa autobiografia è necessario procurarsela in lingua originale perché in italiano non esistono vecchie copie o ristampe (e dunque volevo essere certa di aver capito bene). Nel mio caso ho acquistato la versione inglese arrivata direttamente da quel di Londra in tempi talmente rapidi che mi hanno fatto nuovamente riflettere sull’efficienza delle poste nel nostro paese (considerate che nella mia cittadina per mandare una raccomandata dalla via x alla via y dello stesso comune ci vuole più tempo che tra due diversi, ma questa è un’altra storia) e che è avvalorata da foto della vita nella foresta, requisito che incrementa il valore dell’opera.
Un dettaglio (forse per alcuni) che mi ha fortemente infastidito è la copertina: perché la casa editrice ha scelto di riportare una foto dell’attrice protagonista della trasposizione cinematografica del testo (Sigourney Weaver con in braccio un gorilla) e non una della donna che ha dedicato ogni giorno della sua vita adulta allo studio dei Gorilla (cosa che avrebbe continuato a fare sino alla sua morte naturale se non fosse stata prematuramente uccisa)? Non solo, altra peculiarità che dopo alcune ricerche nel web effettuate mentre ero alla ricerca della mia preziosa copia mi ha dato da pensare, è stato il fatto che in Italia il libro è stato trasposto, non solo con oltre un decennio di ritardo dalla sua pubblicazione originale, ma anche con la dicitura “traduzione a cura di Danilo Mainardi” (un noto etologo del tempo per i conoscitori del settore) e non con il nome del vero curatore “Gianluigi Mainardi”. Errori, dettagli e/o disattenzioni che da una casa editrice del calibro della Enaudi sinceramente non mi aspetto e tanto meno tollero. Così come non concepisco perché un romanzo del genere non sia ristampato semplicemente perché datato, o con la scusante di un argomento scomodo e non vendibile seppur attuale vista la forte sensibilizzazione che negli ultimi anni si sta affermando in merito alla questione animale (tanto che chi vi è interessato debba sentirsi rispondere:-“ahahah! Sta scherzando spero, lo cerchi in un mercatino dell’usato”-). Profonda indignazione. Ma si sa, il Dio denaro comanda anche nel settore dell’editoria.
Concludo semplicemente dicendo che la permanenza dell’autrice nel territorio africano le ha permesso di offrire con chiarezza e certezza anche quella che era la condizione interna di tali stati, essa si è resa conto quasi immediatamente della profonda instabilità politica che in essi regnava, dei conflitti di interesse esistenti tra le varie etnie e della crescita anomala delle varie economie pronte a vendersi senza indugio al miglior offerente, così come aveva compreso quanto una politica di conservazione ambientale deve imparare a muoversi in queste condizioni.

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