[1]: Salvare le ossa
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Libri Moderni

Ward, Jesmyn

[1]: Salvare le ossa

Titolo e contributi: [1]: Salvare le ossa / Jesmyn Ward ; traduzione di Monica Pareschi

Pubblicazione: Milano : NNE, 2018

Descrizione fisica: 313 p. ; 22 cm

ISBN: 978-88-99253-83-7

Data:2018

Lingua: Italiano (lingua del testo, colonna sonora, ecc.)

Paese: Italia

Nomi: (Traduttore) (Autore)

Dati generali (100)
  • Tipo di data: monografia edita in un solo anno
  • Data di pubblicazione: 2018
Testi (105)
  • Genere: fiction

Sono presenti 2 copie, di cui 1 in prestito.

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«Non gli lascerò più la possibilità di vedermi. Non gli lascerò vedere niente finché nessuno di noi avrà più scelta, e allora nessuno potrà fingere di non vedere, nessuno potrà ignorare, e forse ciò che vedremo ci tramuterà in pietra» p. 109

Mississippi. Bois Sauvage, un bayou caratterizzato da fame, miseria, catastrofi naturali, povertà. Nella fossa, una depressione argillosa attorniata da boschi, querce, rifiuti, pollai fatiscenti, tir, elettrodomestici abbandonati, si erge una casa dal colore della ruggine che sin dal primo sguardo fa dubitare della sua stabilità. In questa fatiscente struttura vive la famiglia Batiste composta da un padre vedovo, alcolizzato, dispotico che sopravvive con un sussidio statale, e quattro figli tutti minorenni. Di questi quattro, tre sono di sesso maschile e una, soltanto una, la quindicenne Esch, è una donna. Ella è una sognatrice che vive quel mondo reale fatto di violenze e privazioni con gli occhi della mente e con gli occhi dei miti che legge sui libri. Con tutti i suoi fratelli ha un rapporto molto stretto, con Randall, giocatore di basket, è quasi genitoresco essendo lui colui che si sostituisce al padre quando questo non è in grado di provvedere alla famiglia perché ubriaco o assente, con Skeetah, che ha un legame strettissimo con la cagna China, è quasi in simbiosi, con Junior, il più piccolo e per cui la madre è morta di parto, di protezione. Sono stati loro a crescere il bambino, a insegnargli tutto quello che sa.
Esch è ancora la voce narrante del romanzo, ha conosciuto il sesso all’età di dodici anni e lo ha anche praticato compulsivamente non negandosi mai perché concedersi è più semplice che negarsi, perché sin dal principio è stato come “nuotare nell’acqua” e anche sotto questo aspetto si rivede interamente nelle Dee di cui è appassionata. In particolare si sente molto vicina a Medea essendo innamorata di Manny, giovane fidanzato con un’altra da cui però la nostra protagonista scopre di star aspettando un bambino. Questo è il suo segreto, un segreto di cui lei per prima non si è resa conto sino al sopraggiungere delle nausee. La ragazza non ha idea di cosa significhi essere madre: è cresciuta in un mondo maschile, ha perso la sua in una età in cui fatica quasi a ricordarla, non ha alcuno con cui potersi confidare e da cui poter imparare, con cui confrontarsi e ponderare le proprie scelte. Ecco perché osserva China, ecco perché si chiede se quello che lei ha con i cuccioli che ha appena partorito è e significa essere madre. Ancora si interroga sul gesto estremo che la cagna compie verso uno dei suoi stessi figli, un gesto agli occhi di noi umani che leggiamo quasi incomprensibile. Al contempo, non riusciamo a sottrarci all’empatia, ci sentiamo vicini a questa poco più che bambina timida e silenziosa, a questa bambina che non sa di poter dire di no, a questa bambina che non conosce l’amore e che non sa che cosa sia. Lo stesso atto sessuale per lei non è un momento di piacere, una condivisione con l’altro bensì è un gesto meccanico con cui gli uomini si soddisfano. Soltanto con Manny, forse, comprende di poter a sua volta provare qualcosa ma essendo ancora acerba, giovane e inetta al sentimento, non focalizza quel che in realtà lui vuole da lei.
Fra tutti i fratelli c’è un legame di mutua protezione, un rapporto riservato fatto di silenzi e sguardi ma che mira a far da scudo dalle prepotenze del padre che paradossalmente è l’unico che percepisce il pericolo dell’uragano imminente tanto da far di tutto per preparare le casa, per procurarsi più provviste possibili, per salvare i suoi figli che sono tutto quel che gli resta. Un uragano, il “Katrina” che si mantiene di fatto sullo sfondo delle vicende. Si sa che c’è, è percepito come un pericolo imminente, eppure soltanto gli ultimi due capitoli sono dedicati al suo arrivo e alla sua capacità di devastazione. Il resto dell’opera si focalizza sull’attesa di questo e in particolare sulle vicende che vedono coinvolti i vari protagonisti. Perché le giornate sono scandite ad eventi più importanti, pregnanti, da necessità e urgenze più impellenti. Assisteremo così a risse, corse per i boschi, scontri tra cani, riflessioni e pensieri ma anche a ricordi dei tempi che furono. In tutto ciò colpisce nuovamente la figura del padre che nonostante il suo dispotismo e i suoi innumerevoli difetti, rimane legato alla defunta moglie con tutto sé stesso. È impensabile per lui allontanarsi da lei anche quando un incidente lo ferisce brutalmente, anche quando la vita della famiglia Batiste è seriamente in pericolo a causa di un ciclone molto più forte e violento delle aspettative. A dimostrazione di ciò, la fede. Un oggetto simbolico che sancisce un legame profondo e intramontabile che nemmeno la morte può separare. E lo stesso cataclisma, ancora, è lo strumento con cui l’autrice ci dimostra quanto questa famiglia apparentemente disarcionata e sfaldata sia in realtà unita e compatta nel suo essere. Non solo, al suo termine, è anche il mezzo con cui la solidarietà umana si offre al mondo aprendosi le porte dei più fortunati in aiuto a coloro che al contrario, nonostante le precauzioni, si sono visti privare di tutto.

«Legherò i pezzi di vetro e mattone con lo spago e appenderò i frammenti sopra il letto, in modo che brillino nel buio e raccontino la storia di Katrina, la madre che è entrata nel golfo come una regina per portare la morte. Il suo carro era una tempesta terribile e nera, e i greci avrebbero detto che era trainato da draghi. La madre assassina che ci ha feriti a morte e tuttavia ci ha lasciati vivi, nudi, stupefatti e raggrinziti come bimbi appena nati, come cuccioli ciechi, come serpentelli appena usciti dal guscio, affamati di sole. Ci ha lasciato un mare buio e una terra bruciata di sale. Ci ha lasciati qui perché impariamo a camminare da soli. A salvare ciò che possiamo. Katrina è la madre che ricorderemo finché non arriverà un’altra madre dalle grandi mani spietate, sanguinaria.» p. 304

La Ward con “Salvare le ossa” riesce in una impresa tutt’altro che semplice e mediante una scrittura densa e morbida al contempo, una scrittura che si rilassa, accelera e poi nuovamente si distende, crea un ritmo sincopato che stringe implacabilmente il lettore. Il risultato finale è quello di un romanzo a più strati, un romanzo duro, complesso e articolato che disturba per la crudeltà e la crudezza che rappresenta ma che tocca anche le più intime corde di riflessione. L’autrice crea ancora, oltre che alle circostanze, dei personaggi che si fanno amare, tutti indistintamente seppure per motivi diversi e ricrea altresì ambientazioni che sono tangibili con mano. Il conoscitore sente gli odori, vede i colori, percepisce i suoni della fossa.
Primo capitolo della trilogia di Bois Sauvage “Salvage the bones” è un elaborato che lascia il segno e che merita a pieni voti di essere letto.

«Lei tornerà, e si ergerà, diritta e maestosa, senza più una goccia di latte. Abbasserà lo sguardo sul cerchio di luce che abbiamo acceso dentro la Fossa, e allora saprà che sono stata attenta, che ho lottato. China abbaierà e mi chiamerà sorella. Nel cielo soffocato di stelle, c’è un grande silenzio di attesa. Lei lo saprà che sono madre» p. 308

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